5 Settembre 2014

Apparizioni e sparizioni dei crediti Iva

di Giovanni Valcarenghi
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Credo si possa affermare che sia cosa rara che un collega non abbia mai avuto problemi con qualche pratica di disconoscimento del credito IVA a riporto, per omessa presentazione della dichiarazione annuale. Ci si dibatteva in un dilemma che vedeva contrapporsi, da un lato, l’esistenza del credito (aspetto sostanziale) e, dall’altro, la mancanza del “veicolo” che rende noto quel credito all’Amministrazione, appunto la dichiarazione annuale (aspetto formale).

Nel passato si sono succeduti, nel tempo, orientamenti contrastanti in materia, normalmente accompagnati da una ondivaga posizione delle sentenze di legittimità:

  • dapprima si era valorizzato il carattere “cartolare” dell’imposta, sostenendo che l’esistenza del credito poteva dimostrarsi con documenti e registri “alla mano”;
  • poi si era sostenuto che la esistenza del credito nascesse non dai registri, bensì dal modello dichiarativo, con la conseguenza che la sua omissione conducesse alla non spettanza del credito medesimo;
  • infine (si veda circolare 21/E del 25 giugno 2013), si è tornati sulla retta via, consentendo al contribuente di attestare l’esistenza del credito con una autocertificazione (al fine di poter correggere nell’immediato il preavviso di liquidazione), fermo restando il potere dell’amministrazione di controllare (ed, eventualmente, contestare) la correttezza del credito stesso. Fermo, anche, il potere del fisco di attivare le conseguenze previste dal sistema per il caso di omessa dichiarazione (accertamento induttivo, ecc.).

Ora, dunque, la situazione pare stabilizzata, anche se restano da gestire le “code” delle vicende pregresse; ne è un esempio il caso trattato dalla CTP di Milano, nella sentenza 977/43 del 30 gennaio scorso.

A causa della omissione della presentazione della dichiarazione IVA del 2008, un contribuente si è visto contestare le risultanze del successivo anno 2009, proprio per disconoscimento del riporto del credito, non risultante all’anagrafe tributaria. Probabilmente raggiunto da un avviso bonario rimasto inevaso, il contribuente ha poi ricevuto una cartella esattoriale che provvedeva ad impugnare, fondando la propria difesa sulle seguenti due argomentazioni:

  1. illegittimità della cartella, in quanto non proceduta da un avviso di rettifica;
  2. reale sussistenza del credito contestato, come comprovato dalla produzione documentale di fatture e registri.

I Giudici hanno pienamente accolto le istanze del contribuente, condannando l’Ufficio al pagamento delle spese di lite (sia pure simbolicamente fissate in 1.000 euro), in quanto:

  • la negazione di un credito IVA, sia pure per effetto dell’omissione della dichiarazione, non può essere veicolato per il tramite di un avviso di liquidazione (mero controllo cartolare) – eventualmente seguito dalla semplice iscrizione a ruolo – bensì necessita della emissione di un motivato avviso di rettifica, come conferma la Cassazione con sentenza 5318 del 3 aprile 2012, in quanto implica verifiche e valutazioni di natura giuridica;
  • l’Ufficio non ha provveduto, come invece avrebbe dovuto fare, al controllo in merito all’esistenza ed alla correttezza dell’importo del presunto credito IVA, nonostante il contribuente avesse presentato abbondante documentazione (in tal senso, si richiama la circolare 21/E del 25 giugno 2013, a validarne il contenuto nonostante la posizione di alcuni uffici periferici che sostengono la possibilità di applicazione solo per i recuperi successivi al documento di prassi).

Da un lato, dunque, si riscontra la condivisione dell’ultima posizione sostenuta dall’Agenzia ma, per altro verso, di fatto si riconosce la non legittimità del comportamento tenuto dalle Entrate che, d’abitudine, si limitano a contestare l’importo del credito con semplice attività di liquidazione.

Si potrebbe sostenere che, ora, il problema non sussiste più, in quanto il credito viene solitamente riconosciuto, ma resta la constatazione di una procedura che, se si intende condividere il parere della giurisprudenza di legittimità, non appare corretta. Quindi, il bonario che viene recapitato ai contribuenti non avrebbe ragione d’esistere, né, d’altro canto, la successiva iscrizione a ruolo potrebbe avvenire in modo automatico, in caso di mancata attivazione per la sistemazione della pratica.

Sia ben chiaro: quando il credito esiste conviene aderire alla procedura suggerita dalla circolare 21/E/2013 ma, in caso di difficoltà, ritardi o per rimediare ad eventuali errori, sarà bene tenere conto del principio affermato dai Giudici milanesi, che si inserisce in un più ampio solco già tracciato dalla Cassazione.