11 Maggio 2016

Abuso del diritto e imposta di registro

di Fabio Landuzzi
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Come noto, il Legislatore ha collocato la nuova disciplina dell’abuso del diritto nell’ambito dello Statuto dei diritti del contribuente, ed ha inteso in tal modo attribuire all’art. 10-bis della Legge 212/2000 una portata di carattere generale con riguardo a tutti i tributi, chiarendo senza più equivoci che la nozione è una cosa sola con quella di elusione fiscale, e che l’ordinamento intende perseguire tali fenomeni patologici attrezzando una regolamentazione unitaria connotata anche di garanzie procedimentali poste a tutela della libertà di scelta del contribuente.

Il riferimento che viene compiuto ai “tributi” è perciò da leggersi nella accezione più ampia, e nella visione di una disciplina unitaria.

Il Consiglio Nazionale del Notariato, con lo Studio n. 151-2015/T, è intervenuto proprio sull’articolata disciplina dell’abuso del diritto puntualizzando alcuni temi di ampio interesse.

Uno di questi attiene alla difficile e travagliata convivenza fra le norme anti elusive e l’art. 20 del D.P.R. 131/1986 in materia di imposta di registro, una norma quest’ultima che nel passato, per una parte della giurisprudenza e della prassi, aveva assunto una funzione antielusiva attivabile nella prospettiva della valutazione degli effetti economici delle operazioni portate alla registrazione.

Una norma che, secondo questa posizione, avrebbe legittimato l’Amministrazione finanziaria a liquidare l’imposta d’atto sulla base della presunta causa economica dell’operazione realizzata, o delle operazioni realizzate, avendo riguardo alla sussistenza di un intento negoziale unico anche se formato dal compimento di atti distinti ciascuno dei quali soggetto ad un’imposta di registro peculiare.

Posto che l’art. 20 del Testo unico dell’imposta di registro non è stato né abrogato e né è stato modificato dopo l’entrata in vigore del nuovo art. 10-bis della Legge 212/2000, il Consiglio Nazionale del Notariato si interroga legittimamente su come queste norme debbano ora convivere nel rinnovato assetto regolamentare della disciplina anti elusiva.

Ebbene, dal 1 ottobre 2015, si deve ritenere che all’art. 20 del D.P.R. 131/1986 non possa essere più affidata – semmai ciò fosse stato possibile anche in passato – una funzione anti elusiva, in quanto le eventuali eccezioni che avessero il loro fondamento in questo rilievo – quindi, eccezioni di abuso del diritto – non potrebbero che trovare la propria disciplina solo ed esclusivamente nell’art. 10-bis, sia per i profili sostanziali che per quelli procedimentali.

Come conseguenza di ciò, lo Studio del Notariato sottolinea che l’art. 20 viene ricollocato nel suo alveo originario, ovverosia ritorna a operare come una norma diretta alla interpretazione degli atti portati alla registrazione avente la funzione di correggere eventuali errate interpretazioni degli atti, o contenuti negoziali giuridici difformi dal titolo dell’atto soggetto a registrazione.

Si tratta perciò di fattispecie che si risolvono nel mancato pagamento dell’imposta di registro, la cd. imposta principale postuma.

Quindi, un’applicazione dell’art. 20 che non potrà più essere invocata per perseguire operazioni tacciate di elusività, in quanto in queste circostanze dovrà trovare applicazione esclusivamente l’art. 10-bis, pena la invalidità dell’atto per l’inosservanza delle norme sostanziali e delle tutele procedimentali.