7 Febbraio 2024

Scelte contabili nel conferimento di azienda e conseguenze fiscali

di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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La scheda di FISCOPRATICO

Nel conferimento di azienda, alcune questioni civilistiche portano a conseguenze tributarie di particolare rilievo e sarebbe opportuno che, su questa complessa ed interessante operazione, si pronunciasse l’OIC, così come si è pronunciata su fusioni e scissioni. Infatti, la natura ambivalente del conferimento di azienda genera due differenti opzioni contabili, alternative tra loro, ma entrambe legittime in ragione dei diversi obiettivi che si vogliono ottenere tramite l’operazione straordinaria in parola. È noto, infatti, che il conferimento di azienda viene definito, facendo riferimento ad argomentazioni condivisibili in entrambi i casi, sia una operazione di trasformazione societaria priva di effetti realizzativi, sia una operazione con finalità realizzative, del tutto assimilabile alla vendita.

 

Il Conferimento di azienda come operazione di trasformazione societaria

Secondo un autorevole e famoso aforisma (R. Lupi, La fiscalità delle operazioni straordinarie d’impresa, Milano, 2002, pg. 90)  nel conferimento di azienda “nessuno compra e nessuno vende”; con questa locuzione si mette in risalto il fatto che non vi è un intento realizzativo nel trasferire un ramo di azienda in cambio di una partecipazione societaria, bensì la volontà di riorganizzare la gestione societaria. Per aggiungere argomenti a questa tesi, spesso si cita la sentenza della Cassazione n. 8492/1990, secondo la quale il conferimento non può essere sovrapposto alla cessione, poiché manca l’elemento prezzo per affermare questa analogia e, quindi, saremmo di fronte ad un contratto con causa associativa non realizzativa. Se si volesse individuare nel conferimento d’azienda l’ipotesi più simile ad una operazione con causa associativa, basterebbe pensare al conferimento della azienda individuale in una Srl, di cui il conferente è anche unico socio. Non vi è alcuno che non veda in questa operazione che non è stato sostanzialmente trasferito alcun ramo di azienda, bensì una impresa individuale si è trasformata in società.

 

Il conferimento come operazione realizzativa

Altre posizioni in dottrina enfatizzano, invece, l’aspetto realizzativo, quindi il conferimento definito come una vendita a tutti gli effetti. A difesa di tale tesi, viene citata la sentenza della Cassazione n. 9523/2001, secondo la quale l’analogia tra il conferimento e la vendita è confermata dal fatto che la revocatoria fallimentare è applicabile anche al conferimento, inteso come atto con finalità realizzative. E ancora, a difesa di questa impostazione, viene spesso citato l’articolo 2554, cod. civ., secondo il quale le garanzie che tutelano l’acquirente vengono applicate anche al conferimento. Anche in questo caso, è possibile delineare una situazione di conferimento di azienda che rappresenta in pieno l’obiettivo realizzativo: basti pensare alla situazione di conferimento di ramo di azienda, cui segue l’immediata cessione della partecipazione ricevuta per effetto del conferimento. A cessione avvenuta, il conferente sarà del tutto privato di ogni collegamento con il ramo di azienda conferito e, nell’attivo, avrà liquidità esattamente come se avesse ceduto il ramo di azienda. Va sottolineato che, con l’attuale disciplina fiscale del conferimento di azienda si può dire che, dal punto di vista tributario, l’operazione ha una natura più associativa che realizzativa: attualmente, infatti, l’operazione di conferimento di azienda si muove in un contesto di neutralità necessaria, ai sensi dell’articolo 176,Tuir, rendendo impossibile l’effetto realizzativo che, invece, emerge con ogni evidenza con il conferimento di singolo bene (fattispecie in tutto assimilabile fiscalmente alla vendita).

Tutto ciò per dire che il conferimento di azienda è operazione versatile, che assume le sembianze desiderate da colui che l’attiva.  Poi, va segnalato che, dalla diversa natura della operazione conseguono aspetti contabili differenti. In primo luogo, si pone la scelta se contabilizzare il conferimento a “saldi chiusi”, oppure a “saldi aperti”. La differenza tra le due tecniche è intuibile già della letteralità delle due espressioni sopra citate.

La tecnica a saldi chiusi implica che la società conferitaria contabilizzi i beni al netto delle poste rettificative dell’attivo (segnatamente i fondi di ammortamento), cosi come se i beni stessi venissero acquistati con contratto di compravendita; sicché, per esemplificare, se il valore dei cespiti fosse di 70 in quanto il costo storico era 100 ed il fondo ammortamento 30 ( ed il perito conferma tale valutazione), la conferitaria iscrive i cespiti nell’attivo a 70, iniziando il processo di ammortamento. Al contrario, nella tecnica contabile a “saldi aperti” il cespite viene iscritto dalla conferitaria, conservando la memoria del costo storico e del fondo di ammortamento, esattamente come se l’operazione avvenisse in assoluta continuità dei valori. È evidente che la prima scelta sarà tanto più preferibile quanto più il conferimento in questione faccia riferimento al modello cessione, mentre la scelta a saldi aperti metterà in evidenza come quel conferimento faccia riferimento al modello trasformazione. Detto ciò, va osservato che, in molti casi, la necessità di applicare il principio fiscale di neutralità necessaria contamina la “purezza” della scelta contabile, quindi, la tecnica saldi aperti sarà adottata anche in conferimenti realizzativi. Ciò in quanto l’impossibilità di rilevare variazioni diminutive extracontabili rende necessario, volendo mantenere l’ammontare degli ammortamenti ante conferimento, conservare il costo di acquisto originario nella contabilità della conferitaria. Riprendendo l’esempio di prima e postulando che la quota di ammortamento del bene derivante dalle aliquote fiscali (D.M. 31.12.1988) sia del 10%, si avrebbe, ante conferimento, una quota annuale di 10 ed un residuo di 7 anni di ammortamento. Se il conferimento avvenisse a saldi chiusi e, quindi, venisse iscritto un costo del bene pari a 70, per mantenere inalterato il processo di ammortamento, si dovrebbe eseguire un ammortamento di 10, più elevato della aliquota fiscale ammessa (7 pari al 10%), con necessità di operare una variazione in aumento di 3. In alternativa, dovrebbe essere allungato il processo di ammortamento, quindi 7 all’anno generando un processo residuo di 10 anni di ammortamento; allungamento, in certi casi, non giustificabile civilisticamente. Al contrario, con la tecnica dei saldi aperti sarà possibile generare un ammortamento di 10 annui, conservando la durata originaria del processo di ammortamento, e ciò anche nel caso in cui il conferimento si ispiri al modello “cessione”.

Ciò a meno di non aderire alla tesi secondo cui la neutralità del conferimento è norma speciale che:

  • supera il dogma del principio di derivazione;
  • permette di imputare variazioni diminutive nel modello dichiarativo che sostituiscono l’imputazione a conto economico.

Nell’esempio di prima avremmo, quindi, una quota d’ammortamento imputata a conto economico di 7 e una variazione in diminuzione nel modello redditi di 3, giustificata dalla neutralità del conferimento che impone di dedurre, a livello fiscale, una quota di ammortamento di 10. Questa è la tesi della Norma AIDC 178/2010 che, tuttavia, a tutt’oggi non ha avuto alcun avallo dalla Agenzia delle entrate.