11 Maggio 2015

Voluntary disclosure: l’analitico guadagna spazio

di Nicola Fasano
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Già in un precedente intervento ci siamo soffermati sul c.d. “metodo forfettario”, ossia sul regime semplificato di determinazione dei redditi finanziari previsto nell’ambito della voluntary disclosure (art. 5-quinquies, co. 8, D.L. 167/1990), in luogo di quello analitico. Si tratta di una opzione che il contribuente può attivare quando il valore medio delle consistenze relative agli assets finanziari da regolarizzare in RW non superi i due milioni di euro.

Già in quella sede si è detto come, in linea di principio, l’applicazione del forfettario sia penalizzante rispetto all’analitico, considerato che esso presume un reddito pari al 5% delle consistenze al 31.12 e prevede una tassazione nella misura del 27%. In prima approssimazione, pertanto, si può dire che, assumendo un patrimonio grosso modo costante nel corso degli anni oggetto di regolarizzazione e detenuto in un Paese black con accordo come per esempio la Svizzera, il forfettario costa comunque intorno al 6,5% (calcolando l’imposta annua pari a 1,35% moltiplicata per quattro, le relative sanzioni dapprima incrementate di un terzo e poi complessivamente ridotte a un ottavo e infine gli interessi), a cui si aggiunge il 2,5% di sanzioni complessivamente dovute per i cinque anni da sanare ai fini RW (considerando la sanzione minima ridotta dello 0,5% per ciascun anno).

Certo, il contribuente con il forfettario risparmia dal punto di vista dei costi professionali, per cui la prassi di queste ultime settimane insegna che fino a 100.000/150.000 euro, tendenzialmente convenga il forfettario, oltre tali importi si potrebbe avere convenienza ad attivare l’analitico che potrebbe portare un buon risparmio di imposte e accessori dovuti che coprono i maggiori costi di consulenza.

In ogni caso, è bene evidenziarlo, nessun impatto ha il forfettario sugli eventuali incrementi delle attività finanziarie dovuti a nuovi apporti, nel senso che continua ad applicarsi comunque la presunzione dell’art. 12, d.l. 78/2009 e, pertanto, il contribuente è tenuto a giustificare il relativo importo. In mancanza, l’apporto è considerato reddito sottratto a tassazione in Italia e dunque tassato con aliquote progressive. Il forfettario, in altre parole, riguarda solo il calcolo delle imposte sui redditi finanziari, mentre non dà alcun vantaggio per quanto riguarda gli apporti di nuova liquidità sui conti. Anzi, in tal caso, il nuovo apporto, se non giustificato, dapprima viene integralmente tassato come reddito e poi concorre a formare lo stock al 31.12 su cui si applica il forfettario (sempre che, ovviamente, non ci siano stati successivi prelievi).

Il forfettario, inoltre, non conviene anche quando vi siano attività finanziarie che per definizione non abbiano prodotto redditi nel corso degli anni oggetto di sanatoria. Tipico è il caso della (vera) polizza vita da cui non conseguono redditi tassabili se non al momento del riscatto, così come di depositi vincolati che assicurano un certo tasso di interesse solo alla scadenza prevista. Posto che, come chiarito dalla C.M. 10/E/2015 il forfettario, se scelto dall’interessato, deve essere applicato su tutte le attività finanziarie estere da regolarizzare e per tutti gli anni, è evidente che se nell’ambito degli assets da sanare, in uno o più anni, vi siano investimenti finanziari di questo tipo per importi significativi, l’analitico torna ad avere molto appeal, anche se richiederà, in presenza anche dei classici “dossier titoli” uno sforzo in più da parte del professionista. Si pensi, per esempio, al caso in cui i fondi investiti in un dossier titoli per 200.000 euro, nel corso del 2011 siano stati “convertiti” in polizza il cui capitale sarà riscattato solo fra molti anni: l’applicazione del forfettario impone il calcolo del reddito presuntivo (e delle relative imposte) su tutti gli anni dal 2010 (ipotizzando che sia stata presentata la dichiarazione per il 2009) al 2013 che si vanno a sanare. Con l’analitico, invece, tasserò i reali rendimenti solo per il 2010 e parte del 2011.

Resta da chiarire, infine, l’applicazione del forfettario in presenza di partecipazioni in società non quotate, come per esempio una SA svizzera. E’ lecito chiedersi se il forfettario, anche in questo caso “assorba” eventuali dividendi distribuiti (rispetto ai quali, peraltro, potrebbe porsi il problema di coordinamento con la disciplina CFC) o plusvalenze realizzate a seguito della cessione. Da un punto di vista strettamente letterale sembrerebbe doversi rispondere positivamente, tuttavia è bene attendere chiarimenti ufficiali da parte dell’Amministrazione finanziaria che, in questi casi, potrebbe vedere frustrata la ratio sottesa al forfettario che è quella di semplificare il calcolo delle imposte dovute soprattutto nei casi, molto complessi e dinamici, di investimenti finanziari su dossier titoli.