29 Dicembre 2014

Voluntary disclosure: i punti da chiarire sul raddoppio dei termini

di Nicola Fasano
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Con la pubblicazione in G.U della Legge 186 del 15 dicembre 2014 entrerà finalmente in vigore dal prossimo 1 gennaio la procedura di voluntary disclosure.

Si attendono ora il Provvedimento attuativo delle Entrate e la relativa circolare esplicativa. Tanti i punti da chiarire da cui potrebbe derivare la riuscita o meno dell’intera operazione “voluntary”.

Per avere infatti una quantificazione precisa dei costi, come evidenziato in un precedente intervento, vi sono variabili di non poco conto da affrontare, prima fra tutte: gli anni ancora accertabili. Sotto questo aspetto, è noto che il raddoppio dei termini ai fini delle imposte sui redditi scatta in presenza di obbligo di denuncia per reati tributari (ai sensi dell’art. 43, comma 3, D.P.R. n. 600/1973), nonché nel caso di capitali detenuti in Paesi Black list, ai sensi dell’art. 12, comma 2-bis del D.L. n. 78/2009 (raddoppio che il comma 2-ter del medesimo art. 12 estende anche alle violazioni in tema di monitoraggio fiscale).

Ora, con riferimento al raddoppio “penale” si dovrebbe chiarire se i reati del D. Lgs. 74/2000 (la maggior parte) per cui opera la causa di non punibilità rappresentata dalla voluntary, facciano comunque scattare il raddoppio dei termini di accertamento. In effetti, ciò che la norma esclude in modo esplicito è la punibilità penale, non anche la rilevanza “amministrativa” (dal punto di vista del raddoppio dei termini) del reato. Sotto il profilo pratico, tuttavia, sarebbe sin troppo semplice obiettare che la stessa “ratio” del raddoppio dei termini di accertamento risiede nel voler accordare all’Amministrazione finanziaria tempi più lunghi di contestazione delle violazioni fiscali dinanzi a fattispecie particolarmente “insidiose” in cui si siano manifestati i presupposti di un reato fiscale, e vi sia la necessità di coordinarsi con l’Autorità giudiziaria. Tuttavia, a fronte di una voluntary in cui è lo stesso contribuente che in modo spontaneo e trasparente “offre” all’Amministrazione finanziaria tutta la documentazione di supporto che porterà poi all’accertamento, non si vede quale utilità pratica possa avere il raddoppio, se non quella di “fare cassa” coinvolgendo anche anni altrimenti prescritti. A maggior ragione in presenza di una esplicita causa di non punibilità del reato sottostante.

Discorso simile si potrebbe fare anche per il raddoppio dei termini previsto dall’art. 12 del D.L. n. 78/2009 con riferimento ai capitali detenuti in Paesi black list, anche se la legge n. 186/2014 in questo caso è stata più precisa. Si prevede infatti che tale raddoppio, ai soli fini delle imposte dirette (e non anche per il monitoraggio), non operi qualora, fra l’altro, lo Stato estero stipuli con l’Italia un accordo finalizzato all’effettivo scambio di informazioni entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge (e dunque entro i primi di marzo 2015). In questo modo si vuole pressare lo Stato estero (il caso più spinoso è quello della Svizzera, con cui vi sono intensi negoziati a tal proposito) a concludere il suddetto accordo, ma nel frattempo il contribuente è lasciato nel limbo, senza sapere in concreto quanto gli possa costare la procedura di disclosure, essendo costretto ad attendere gli eventi e con il rischio che, nelle more, si verifichi una causa ostativa alla procedura.

In verità pure in questo caso se si pensa al motivo per cui il raddoppio dei termini è stato introdotto, ossia alla necessità di tempi più lunghi per contestare violazioni fiscali particolarmente complesse perché poste in essere trasferendo illecitamente capitali all’estero, di difficile individuazione perché in Paesi poco collaborativi, il raddoppio dei termini dovrebbe “decadere” nell’ambito della voluntary in cui è lo stesso contribuente a mettere l’Amministrazione finanziaria nelle condizioni di accertare correttamente tutte le violazioni commesse (tanto che in caso di informazioni non veritiere e/o non esaustive gli effetti premianti della disclosure non si realizzano). E questo sia che si tratti di imposte dirette sia che si tratti di violazioni in materia di monitoraggio fiscale (per le quali, in base alla disposizione normativa, si evidenzia che il raddoppio continua ad operare anche in presenza di eventuali accordi tempestivi con il Paese estero per l’effettivo scambio di informazioni).

In questo ambito, peraltro, la “via d’uscita” potrebbe essere quella di aderire a quel filone giurisprudenziale (non pacifico) che limita l’applicazione dell’art. 12 citato solo ai periodi di imposta dal 2008 (dichiarazioni presentate nel 2009) in avanti, non potendosi applicare lo stesso in via retroattiva, ad anni precedenti rispetto all’introduzione del D.L. n. 78/2009. Difficilmente però l’Amministrazione finanziaria, in assenza di un consolidato orientamento della Cassazione sul punto (che chissà quando arriverà…) potrà avallare una conclusione di questo tipo che avrebbe effetti dirompenti anche in casi extra-voluntary.

In verità su quest’ultimo punto una soluzione pro-contribuente probabilmente potrebbe arrivare solo con un intervento specifico del legislatore che, allo stato attuale, si è espresso in modo abbastanza chiaro (a differenza del raddoppio penale che presenta margini interpretativi più ampi) “bloccando” il raddoppio (nel caso delle imposte sui redditi) solo se lo Stato estero raggiunge un’intesa con l’Italia per lo scambio di informazioni effettivo.

Non resta che attendere i chiarimenti delle Entrate, quanto meno per essere nelle condizioni di fare dei calcoli “previsionali” attendibili.