15 Gennaio 2019

Transfer price: la scelta di un metodo diverso deve essere motivata

di Marco Bargagli
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La normativa conosciuta come “transfer pricing” rappresenta da sempre una tematica di grande attualità, connotata da indubbi profili di complessità considerato che, per stessa ammissione dell’Ocse, la determinazione dei prezzi di trasferimento non è una scienza esatta, ma richiede un’attenta valutazione da parte dell’Amministrazione fiscale e del contribuente (cfr. Linee guida Ocse, versione luglio 2017, capitolo I, il principio di libera concorrenza, Par. 1.13).

La congruità dei valori praticati nelle cessioni di beni e/o servizi avvenute tra imprese appartenenti allo stesso Gruppo multinazionale deve essere valutata nel rispetto del principio di libera concorrenza (c.d. arm’s length principle), sancito dall’articolo 9, paragrafo 1, del modello Ocse di convenzione, in base al quale il prezzo stabilito nelle transazioni commerciali intercorse tra imprese associate deve corrispondere al prezzo che sarebbe stato convenuto tra imprese indipendenti per transazioni identiche o similari sul libero mercato.

Tale principio cardine è stato recepito anche dalla normativa domestica e, in particolare, dall’articolo 110, comma 7, Tuir il quale prevede che:  “I componenti del reddito derivanti da operazioni  con  società non  residenti  nel  territorio  dello  Stato,  che  direttamente   o indirettamente controllano l’impresa,  ne  sono  controllate  o  sono controllate dalla  stessa  società  che  controlla  l’impresa,  sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti  in  condizioni  di libera concorrenza e in circostanze  comparabili,  se  ne  deriva  un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo  le  modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori  pratiche  internazionali,   le   linee   guida   per l’applicazione del presente comma”.

Con particolare riferimento al metodo da adottare, le nuove linee guida sui prezzi di trasferimento infragruppo diramate nel mese di luglio 2017, hanno confermato che non esiste più una rigida gerarchia tra i vari metodi, ma occorre utilizzare il metodo ritenuto più appropriato alle circostanze del caso (c.d. M.A.M. “Most Appropriate Method”).

In merito, come previsto dalla prassi internazionale:

  • la selezione di un metodo per la determinazione dei prezzi di trasferimento si pone sempre l’obiettivo di trovare quello più appropriato al caso particolare, ragion per cui nel predetto processo di selezione andranno presi in considerazione i rispettivi vantaggi e svantaggi dei metodi riconosciuti dall’OCSE;
  • i metodi tradizionali basati sulla transazione sono considerati lo strumento più diretto per stabilire se le condizioni nelle relazioni commerciali e finanziarie fra imprese associate siano fondate sul principio di libera concorrenza;
  • esistono situazioni in cui i metodi basati sull’utile delle transazioni sono considerati più appropriati rispetto ai metodi tradizionali basati sulla transazione: in particolare, nei casi in cui ognuna delle parti associate apporti contributi unici e di rilevante valore alla transazione o qualora le parti associate svolgano attività altamente integrate, il metodo di ripartizione dell’utile risulta più appropriato rispetto a un metodo unilaterale.

La CTR Lombardia, sezione 2, con la sentenza n. 1648/2018 del 12.04.2018, si è espressa in merito alla metodologia utilizzata per valutare la corretta determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo, confermando che l’Amministrazione finanziaria deve fornire idonea motivazione, nella particolare ipotesi in cui decida di adottare un metodo TP differente rispetto a quello prescelto da parte del contribuente.

Nei fatti in causa la società sosteneva che, per valutare il valore dei prezzi praticati, il metodo da preferire era il confronto del prezzo (c.d. CUP), in quanto “sostenuto da maggior documentazione”.

Di contro, l’Agenzia delle entrate:

  • ribadiva che i prezzi di trasferimento applicati dal contribuente violavano la normativa sul transfer pricing confermando che, sebbene il metodo CUP dovesse essere quello preferenziale, nella specie esso era praticamente inapplicabile, “per i limiti connessi alla difficoltà di reperire transazioni tra parti indipendenti sufficientemente comparabili direttamente in termini di prezzi praticati a quelli imposte tra imprese associate, specialmente in assenza di potenziali confronti interni“;
  • riteneva di avere scelto la metodologia corretta – ossia quella riferita al TNMM – che, a differenza del metodo CUP, non richiede che le transazioni siano del tutto sovrapponibili; infatti, nonostante il CUP sia considerato il metodo comparabile più diretto ed affidabile, è importante che non vi siano differenze significative tra le operazioni comparate.

Ciò posto, in linea con le argomentazioni già espresse in primo grado, il giudice regionale ha accolto il ricorso del contribuente, confermando l’applicazione del metodo tradizionale del confronto del prezzo (CUP – Comparable Uncontrolled Price Method), del quale non è stata adeguatamente motivata l’impossibilità di applicazione a beneficio del metodo reddituale TNMM (Transactional Net Margin Method).

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