19 Ottobre 2015

Sull’opposizione dello scudo fiscale in contenzioso

di Davide David
Scarica in PDF

Una questione che può ancora emergere in sede di difesa nel contenzioso tributario riguarda la possibilità di opporre per la prima volta, davanti ai giudici, lo scudo fiscale, non precedentemente opposto all’Amministrazione finanziaria in sede di verifica.

Un ulteriore aspetto riguarda la possibilità di opporre lo scudo fiscale a fronte di accertamenti riguardanti imponibili non direttamente collegabili con le attività scudate (come può accadere, tra l’altro, per gli accertamenti da redditometro).

Si ricorda brevemente che la norma introduttiva dello scudo fiscale (art. 13-bis del D.L. n. 78/09), previo richiamo di alcune disposizioni del D.L. n. 350/01, ha statuito che l’adesione allo scudo fiscale determina, tra gli altri effetti, anche quelli di precludere ogni accertamento tributario e contributivo.

Per quanto concerne il momento di opponibilità dello scudo fiscale, va evidenziato che la normativa di riferimento non prevede alcun termine di decadenza per opporre i relativi effetti preclusivi ed estintivi agli accertamenti fiscali.

In sede di giudizio è quindi possibile sostenere che lo scudo fiscale non doveva essere necessariamente opposto in sede di verifica ma che poteva (e può ancora) essere opposto anche successivamente, sia in sede amministrativa che giudiziaria.

Ciò anche per coerenza con il regime di riservatezza connesso alla presentazione delle dichiarazione, in forza del quale l’Amministrazione finanziaria non può conoscere, fino all’opposizione dello scudo, né l’identità del soggetto, né l’entità dei capitali scudati, né l’anno a cui tali capitali vanno riferiti.

Tale principio lo si trova ben espresso nella sentenza della CTR Trieste n. 76/12 nella quale, con richiamo di altre sentenze di merito, è evidenziato che anche per tale motivo non è stato imposto al contribuente che volesse opporre all’accertamento tributario l’effetto preclusivo dello scudo fiscale di far valere tale effetto già in sede di verifica.

In altri termini, considerato il regime di riservatezza dello scudo, è corretto affermare che il legislatore ha voluto rimettere alla libera scelta del contribuente la possibilità di rinviare l’esibizione della dichiarazione riservata anche dopo il termine della verifica fiscale e quindi anche in sede di contenzioso.

Ciò anche perché è del tutto logico e legittimo consentire al contribuente di opporre lo scudo solo nel momento in cui, sulla base di una sua personale valutazione, i rilievi mossi dall’Ufficio raggiungano, per i più svariati motivi, un livello di consolidamento tale che la mancata opposizione dello scudo potrebbe causare una impossibilità di addivenire in altro modo ad evitare gli effetti negativi dell’accertamento fiscale.

Se così non fosse il contribuente dovrebbe rinunciare a quel regime di riservatezza che caratterizza fortemente l’istituto dello scudo fiscale ogni volta che un qualsiasi organo verificatore e/o accertatore adombri una qualche ipotesi di violazioni di rilevanza fiscale, senza poter attendere il vaglio di tale ipotesi da parte di altri organi dell’Amministrazione finanziaria e/o da parte della giurisprudenza tributaria.

La mancanza della fissazione di un termine da parte della normativa di riferimento e le ragioni di riservatezza che contraddistinguono lo scudo fiscale portano quindi necessariamente a concludere, come acclarato anche da diverse altre sentenze di merito, che “gli effetti preclusivi ed estintivi (dello scudo, ndr) risultano opponibili in tutte le sedi sia amministrative che giudiziali in virtù dell’art. 14, comma 6, del D.L. 25 settembre 2001, n. 350, con richiamo all’art. 13 bis del D.L. n. 78 del 2009” (così la CTR Firenze nella sentenza n. 1496/14 e, nello stesso senso, tra le ultime, la sentenza della CTR Napoli n. 5109/15).

Per quanto poi concerne l’ampiezza degli effetti preclusivi dello scudo fiscale, occorre considerare che, come risaltato anche dalla CTR Trieste nella sentenza n. 76/12, la ratio della normativa sullo scudo fiscale va individuata nell’interesse che lo Stato aveva a che emergessero quante più attività era possibile e che per ottenere questo l’ambito di preclusione agli accertamenti fiscali doveva essere il più ampio possibile.

In questo senso deve essere quindi letto l’art. 14 del D.L. n. 350/01, laddove dispone che lo scudo fiscale “preclude nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati, ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azione di accertamento limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio”.

Appare chiaro che la citata norma richiede solo una relazione quantitativa (e non anche qualitativa) tra importo scudato ed importo accertato.

Il che è stato confermato anche dalla CTR Trieste nella sentenza n. 76/12, ove è chiaramente detto che ai fini preclusivi vi deve essere esclusivamente “… una riconducibilità quantitativa tra le somme “rimpatriate” e l’imponibile oggetto dell’accertamento”; per giungere alla conclusione che entro tali limiti quantitativi “il contribuente, che abbia regolarmente beneficiato dello “scudo fiscale” per le attività detenute all’estero negli anni precedenti il 2008, non possa subire alcun accertamento per tali periodi, con la conseguenza che l’eventuale avviso di accertamento notificato debba ritenersi illegittimo”.