17 Febbraio 2015

Stabile organizzazione personale

di Nicola Fasano
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Uno dei rischi più diffusi a cui vanno incontro le imprese che si affacciano su mercati esteri è quello della contestazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria del Paese estero, di avere ivi una stabile organizzazione, come tale tenuta ad assolvere le imposte sul reddito ad essa riferibile.

I rischi maggiori in tale ambito si corrono quando sia configurabile una fattispecie di stabile organizzazione “personale”, che prescinde da una formale e fisica base fissa nello Stato estero, e per ciò stesso, non di rado le imprese, soprattutto quelle meno abituate a trattare le tematiche di fiscalità internazionale, si espongono a tali rischi in modo quasi inconsapevole.

Cercando di semplificare, premesso che è sempre doveroso partire dalla definizione di stabile organizzazione che ciascun Paese adotta nel proprio ordinamento, nonché verificare la definizione dettata dall’eventuale Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra gli Stati interessati, è noto che, in linea di principio, in virtù di quanto dettato dall’art. 5 del Modello Ocse e dal relativo commentario, si configura stabile organizzazione personale quando:

  1. una persona (da intendersi tanto come persona fisica che come persona giuridica) esercita in uno Stato estero il potere di concludere abitualmente i contratti in nome dell’impresa non residente e
  2. sempre che non si tratti di agenti indipendenti che agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività.

Per quanto riguarda il requisito di cui alla lettera a) che precede, molto spesso le Convenzioni escludono la sussistenza di una stabile quando i contratti abbiano ad oggetto l’acquisto di merci o quando l’agente si limiti ad attività preparatorie o ausiliari rispetto al “business”. Perché l’agente “rappresenti” l’impresa sul mercato estero, inoltre, non è necessaria l’attribuzione formale di specifici poteri di rappresentanza, posto che questi possono essere implicitamente dedotti da una serie di circostanze di fatto come per esempio la costante e acritica approvazione delle proposte contrattuali dell’intermediario da parte del mandante, piuttosto che la presenza di quest’ultimo nella stretta finale della contrattazione fra mandante e cliente finale.

Per quanto concerne, invece, il ruolo degli agenti indipendenti che svolgano la loro ordinaria attività, che in quanto tali non costituiscono stabile organizzazione personale, è chiaro che questa fattispecie, al di là del dato formale, non ricorre, e si potrebbe pertanto configurare la stabile, quando ad esempio l’intermediario:

  • pone in essere attività che esulano da quelle tipiche degli agenti (garantendo per esempio anche l’assistenza post vendita);
  • è monomandatario lavorando solo (o quasi esclusivamente) per il medesimo mandante;
  • ha una scarsa esperienza e riceve direttive e/o autorizzazioni per lo svolgimento di determiniate attività.

E’ chiaro che il rischio di contestazioni da parte del Fisco del Paese in cui l’agente svolge la sua attività è tanto maggiore quanti più “indizi” ricorrano fra quelli sopramenzionati a titolo esemplificativo.

E’ sempre consigliabile, pertanto, porsi la questione prima di implementare i rapporti con l’intermediario nel Paese estero, riflettendo, sia sotto il profilo formale/contrattuale che sotto l’aspetto sostanziale, su modalità e tipologia di attività che l’agente in concreto andrà a svolgere.

 

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