11 Gennaio 2016

Soggettività IVA dei clienti non identificati per i servizi resi-ricevuti

di Marco Peirolo
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Nella risoluzione n. 75/E/2015, l’Agenzia delle Entrate, ha chiarito le modalità di applicazione dell’IVA per i servizi di e-commerce resi a clienti di altri Paesi membri dell’Unione europea da soggetti in regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e i lavoratori di mobilità, di cui all’art. 27, commi 1 e 2, del D.L. n. 98/2011, senza però precisare quale sia il trattamento IVA delle operazioni in esame nel caso in cui il committente non residente sia un soggetto privo di partita IVA perché con volume d’affari inferiore al limite entro il quale la normativa locale ne prevede l’attribuzione.

La questione trascende la specifica natura dei servizi, ponendosi – più in generale – per tutte le prestazioni di servizi “generiche”, per le quali il criterio territoriale basato sul Paese del committente o su quello del prestatore, a seconda della tipologia di rapporto (B2B o B2C), implica la necessità di stabilire se il destinatario del servizio abbia lo status di soggetto passivo d’imposta e, in caso positivo, se agisca in quanto tale, cioè in qualità di operatore economico.

Si tratta, quindi, di comprendere se il servizio “generico” reso al cliente che, pur essendo un soggetto passivo, non sia identificato come tale nel Paese membro in cui è stabilito, sia da assoggettare a IVA secondo la regola territoriale prevista per i rapporti B2B o, al contrario, in base a quella applicabile nei rapporti B2C.

La soluzione si desume dalla normativa unionale, così come interpretata dalla Corte di giustizia.

L’art. 17, par. 1, del Reg. UE n. 282/2011 dispone che, se il luogo della prestazione di servizi dipende dalla circostanza che il destinatario sia o meno un soggetto passivo, lo status del destinatario è determinato sulla base degli artt. da 9 a 13 e dell’art. 43 della Direttiva n. 2006/112/CE.

Dal rinvio operato dalla citata disposizione, pare evidente che la soggettività passiva è collegata all’esercizio di un’attività economica e non, invece, al regime IVA (ordinario o di franchigia) con il quale l’attività stessa è svolta.

In merito al rapporto tra soggettività passiva e numero identificativo, il successivo art. 18, par. 1, del Reg. UE n. 282/2011 prevede che, salvo informazioni contrarie, il prestatore può considerare che il destinatario stabilito nell’Unione ha lo status di soggetto passivo se quest’ultimo:

  • gli ha comunicato il proprio numero identificativo, purché ne ottenga conferma con la consultazione della banca dati VIES, ovvero
  • non avendo ancora ottenuto il numero identificativo, lo informa che ne ha fatto richiesta.

Anche se la norma richiamata sembrerebbe attribuire rilevanza sostanziale al numero identificativo, escludendo la delocalizzazione della prestazione nel Paese del committente se il destinatario è privo di partita IVA, occorre osservare che la giurisprudenza della Corte di giustizia ha puntualizzato che il numero di identificazione assume valenza esclusivamente ai fini probatori. La definizione di “soggetto passivo”, delineata dall’art. 9, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, si riferisce infatti unicamente a chiunque eserciti in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al par. 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tale attività, senza quindi subordinare la soggettività passiva del committente al possesso del numero di identificazione IVA (sent. 28 settembre 2012, causa C-587/10, VSTR e sent. 6 settembre 2012, causa C-273/11, Mecsek-Gabona).

Come indicato dalla Corte, subordinare la localizzazione dell’operazione al rispetto di obblighi di forma senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali eccede quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta.

Dato che questo principio, secondo gli stessi giudici UE, può essere derogato nel solo caso in cui la violazione dei requisiti formali abbia l’effetto di impedire la dimostrazione che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti, è possibile ritenere che il prestatore – anche in assenza del numero identificativo del committente – può avvalersi di altri mezzi di prova per dimostrare lo status di soggetto passivo della controparte.

Infine, è dato osservare che l’art. 214 della Direttiva n 2006/112/CE, a completamento della disciplina territoriale delle prestazioni di servizi “generiche”, dispone che gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari affinché sia identificato tramite un numero di identificazione:

  • ogni soggetto passivo che riceve, nel territorio in cui è stabilito, prestazioni per le quali è debitore dell’IVA;
  • ogni soggetto passivo, stabilito nel proprio territorio, che effettua nel territorio di altro Stato membro prestazioni di servizi per le quali l’IVA è dovuta dal destinatario.

Ne discende che il principio di tassazione nel Paese di destinazione, che caratterizza l’applicazione dell’IVA relativa alle prestazioni di servizi “generiche”, prescinde dalla circostanza che il fornitore e/o il cliente siano soggetti al regime di franchigia. Sotto questo profilo, fermo restando che la qualificazione del committente come soggetto passivo non dipende dal possesso del numero identificativo, sembrerebbe pertanto che i Paesi – quali il Regno Unito – che non attribuiscono il numero di identificazione agli operatori economici in franchigia che prestano o ricevono servizi “generici” si pongano in contrasto con la disciplina unionale.