24 Novembre 2021

Società di capitali: indeducibile il costo del lavoratore-presidente del CdA

di Angelo Ginex
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In tema di imposte sui redditi, sussiste l’assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina, rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni, che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente.

È questo l’importante principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 36362, depositata ieri 23 novembre.

La vicenda in esame trae origine dalla notifica ad una società cooperativa a r.l. di un avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione le spese da essa sostenute nei confronti dei due soci e amministratori, a titolo di lavoro subordinato, ritenendo mancanti le caratteristiche proprie di tale tipologia di rapporto, quali il potere direttivo, gerarchico e disciplinare.

La Commissione tributaria regionale della Sardegna, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla società cooperativa avverso la pronuncia negativa di primo grado, dichiarava inerenti e deducibili i compensi da lavoro subordinato corrisposti ai due soci-amministratori. In particolare, essa riteneva sussistente il requisito della inerenza dei costi, trattandosi di compensi erogati dalla società ai soci per le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione prestate a favore della società di appartenenza.

Pertanto, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 109, comma 5, D.P.R. 917/1986 e dell’articolo 2697 cod.civ., in quanto riteneva mancante, da un lato, il vincolo di subordinazione tra datore di lavoro e dipendente e, dall’altro, il requisito della diversità delle mansioni tra il soggetto amministratore e quello che assume la veste di lavoratore subordinato.

La Corte di Cassazione ha affermato che i giudici di secondo grado hanno errato nell’applicazione dei principi giurisprudenziali sanciti in materia, poiché la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della stessa, laddove sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l’assoggettamento ad un effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare (cfr., Cass. sent. 11/11/1993, n. 11119).

Inoltre, si è precisato che la qualità di socio, anche maggioritario, di una società di capitali, non è di per sé di ostacolo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra socio e società, qualora possa in concreto ravvisarsi il vincolo di subordinazione, almeno potenziale, tra il socio medesimo e l’organo societario preposto all’amministrazione; tale vincolo deve essere escluso soltanto nelle ipotesi di amministratore unico, di presidente del consiglio di amministrazione o di “socio sovrano” (cfr., Cass. sent. 19/05/1987, n. 4586; Cass. ord. 28/04/2021, n. 11161).

Dunque, applicando tali principi al caso di specie, i giudici di vertice hanno osservato come per uno dei due soci-amministratori, in ragione dell’incarico di presidente del consiglio di amministrazione, vada totalmente esclusa la possibilità di svolgere un’attività di lavoro subordinato in favore della società stessa.

Invece, nel caso dell’altro socio-amministratore, anch’esso componente del consiglio di amministrazione, è stato rilevato che i giudici di secondo grado avrebbero dovuto accertare in concreto, con riferimento al rapporto di lavoro subordinato, l’esistenza o meno di un potere direttivo, gerarchico e disciplinare, nonché lo svolgimento di mansioni diverse o meno da quelle proprie della carica sociale rivestita.

Sulla scorta di quanto sopra, pertanto, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sardegna, in diversa composizione, affinché si pronunci tenendo conto del principio di diritto da essa sancito, che può riassumersi nei seguenti termini: In tema di imposte sui redditi, è indeducibile dal reddito della società di capitali il costo da lavoro dipendente sostenuto nei confronti del soggetto che al contempo è anche amministratore della stessa, laddove si accerti in concreto la mancanza, da un lato, del vincolo di subordinazione tra società e dipendente e, dall’altro, del requisito della diversità delle mansioni tra la carica di amministratore e la qualità di lavoratore subordinato.