23 Ottobre 2023

Principi e criteri direttivi per la revisione del sistema di imposizione sui redditi finanziari

di Stefano Chirichigno
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La scheda di FISCOPRATICO

Per i redditi di natura finanziaria il legislatore delegato ha previsto ben dieci “principi e criteri direttivi”, elencati sotto la lett. d) dell’articolo 5, L. 111/2023. Preso atto della preminenza del primo dei dieci punti, ma poi del non immediatamente percepibile ordine dei nove punti che seguono, per sapere – come il servo pastore di De Andrè – “qual è la direzione”, ci rivolgiamo agli atti parlamentari e segnatamente al “Dossier” avente ad oggetto la “Delega al Governo per la riforma fiscale” (A.C. 1038).

Troviamo conferma che il primo principio – e ad avviso di chi scrive più lodevole quanto meno sotto il profilo dell’inquadramento sistematico, che dovrebbe essere ciò che una riforma si deve prefiggere di migliorare – è la “creazione di un’unica categoria reddituale (superando quindi la distinzione tra redditi da capitale e redditi diversi)”. In realtà, non si tratta tanto di creare una categoria reddituale nuova quanto di depotenziare opportunamente, alla luce dell’evoluzione normativa successiva agli anni 70 del secolo scorso, l’eterogena categoria residuale dei redditi diversi, attraendo nell’alveo (che più loro si confà) le varie ipotesi di proventi riconducibili, anche indirettamente, ad investimenti finanziari. Era evidente (ed in effetti anche l’Assonime plaude l’iniziativa nell’audizione parlamentare – Consultazioni n. 9/2023) che, dopo la riforma del 2004, la distinzione tra dividendo e plusvalenza avesse definitivamente perso di significato.

Dal Dossier si evincono ulteriormente due obiettivi che hanno una certa rilevanza di carattere sistematico seppur di minor profilo, vale a dire la scelta di campo del criterio di cassa e una “più ampia possibilità di compensazione tra componenti positivi e negativi”.

Con riferimento al criterio di cassa, seppur non esplicitato, l’obiettivo sembrerebbe quanto meno quello di dichiarare il fallimento dell’esperimento della Riforma Visco del “risparmio gestito”. Sotto questo profilo, l’atipicità dello strumento (e la difficoltà di comprensione in contesti cross border) prevalgono sull’obiettivo di fondo dello strumento del risparmio gestito che era essenzialmente di tipo operativo, a parte la maggiore flessibilità nella compensazione di proventi e perdite che dovrebbe essere, come sopra anticipato, raggiunto per altra e ben più generalizzata strada.

Sotto questo profilo, il Dossier riporta che sarebbe stato precisato, nel corso dell’esame alla Camera, che la più ampia possibilità di compensazione tra componenti positivi e negativi (con conseguente previsione di un’imposta sostitutiva sul risultato complessivo netto) è subordinata al “rispetto dell’obiettivo di contenere gli spazi di elusione e di erosione dell’imposta”. Traspare il tradizionale terrore nei confronti delle perdite fiscali viste come la prima e massima fonte di elusione in una dilatazione oltre misura del fenomeno delle bare fiscali che, va da sé, non hanno margini di esistenza in assoluto nel contesto che ci occupa. Quanto al concetto di “erosione” non può che essere una, non del tutto felice, riproposizione dell’invarianza di gettito che è il vero fantasma che potrebbe minare alla radice anche le migliori intenzioni della “Riforma Leo” (azzardiamo questo verosimile battesimo giornalistico).

È importante, tuttavia, che la legge delega espressamente delinei modalità di compensazione che comprendano, non solo le perdite derivanti dalla liquidazione di società ed enti, nonché da qualsiasi rapporto avente parimenti ad oggetto l’impiego del capitale, ma anche i costi e gli oneri inerenti. È da auspicare che la mano del legislatore delegato non tremi su questa svolta a lungo attesa.

Il decalogo prosegue, poi, secondo un ordine, come detto, non facilmente decifrabile.

Si intuisce chiaramente che la revisione del sistema di tassazione dei rendimenti delle forme pensionistiche complementari non comporterà l’abbandono dell’attuale modello impositivo che si basa sul c.d. meccanismo ETT (Esenzione, Tassazione, Tassazione), come da molti auspicato, passando un modello basato sul meccanismo EET (Esenzione, Esenzione, Tassazione), vale a dire affiancare al regime di esenzione al momento della contribuzione, quello sui rendimenti maturati, con conseguente integrale rinvio della tassazione al momento della percezione della prestazione pensionistica da parte del beneficiario. Più limitatamente, l’obiettivo sembrerebbe essere semplicemente di omogeneizzare il trattamento impositivo dei rendimenti derivanti dagli anzidetti investimenti.

La circostanza che sia previsto che l‘imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali sia “almeno sui redditi di natura finanziaria attualmente soggetti ad un prelievo a monte a titolo definitivo” (punto 3 dell’elenco), lascia intendere che rimane una porta aperta per forme diverse di imposizione. Difficile formulare previsioni, certo non aiuta a svuotare quella “valigia di perplessità” con cui ci prepariamo ad affrontare la Riforma.

Un’occasione perduta riguarda, poi, la tassazione dei titoli di Stato, anacronisticamente ferma al 12,5%. Il decalogo prevede, senza mezzi termini, il mantenimento del livello di tassazione attualmente previsto per i redditi derivanti da titoli di Stato ed equiparati; è noto che la tassazione agevolata dei titoli di Stato è, per così dire, una mera illusione ottica (minori rendimenti, ma minor gettito per pari importo). Ma, evidentemente, siamo in un’epoca in cui anche l’apparenza vuole la sua parte.

La delega si sofferma, poi, sugli aspetti dichiarativi (sic!) prevedendo un obbligo dichiarativo dei redditi di natura finanziaria da parte del contribuente, con la possibilità di optare per l’applicazione di modalità semplificate di riscossione dell’imposta attraverso intermediari autorizzati, con i quali sussistano stabili rapporti, senza obbligo di successiva dichiarazione dei medesimi redditi; corollario di ciò la previsione dell’obbligo di comunicazione, all’Agenzia delle entrate, da parte dei soggetti che intervengono nella riscossione, dei redditi di natura finanziaria per i quali il contribuente non ha scelto il regime opzionale.

Completano il quadro una generica richiesta di razionalizzazione della disciplina in materia di rapporti finanziari basata sull’utilizzazione di tecnologie digitali e la previsione di agevolazioni sui redditi di natura finanziaria conseguiti dagli enti di previdenza obbligatoria.