11 Aprile 2014

Presunzione di distribuzione degli utili ai soci nelle SRL a ristretta base societaria: criticità e strategie difensive (parte I)

di Angelo Luca Ottaviano
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Molto frequentemente gli accertamenti nei confronti delle SRL a ristretta base societaria sono seguiti da accertamenti sui soci delle stesse, in base alla presunzione che il maggior reddito accertato presso la società sia poi stato distribuito ai soci.

Tale procedimento è frutto di un’elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata (si veda ad es. Cassazione 11654/2013, 8207/2011, 3896/2008, 448/2008, 2049/2003) secondo la quale “gli utili extrabilancio della società di capitali a ristretta base azionaria o a base familiare si presumono distribuiti ai soci, salvo la loro prova contraria.

Questa presunzione è possibile perché “nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria ovvero a base familiare, pur non sussistendo – a differenza di una società di persone – una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, non può considerarsi illogica – tenuto conto della “complicità” che normalmente avvince un gruppo così composto – la presunzione (semplice) di distribuzione degli utili extracontabili ai soci (…)” (tra le altre, Cassazione 3896/2008 e 10982/2007).

Il numero di soci al di sotto del quale una SRL possa definirsi “a ristretta base sociale” non è stato definito in via generale, ma viene valutato di volta in volta: ad esempio sono state considerate tali una SRL con 6 soci appartenenti a 3 nuclei familiari estranei tra loro (Cassazione 13399/2003) e una SRL con 5 soci senza legami di parentela (Cassazione 3896/2008).

La difesa del socio nei confronti di questo automatismo non è agevole; è possibile però evidenziare alcuni temi su cui porre particolare attenzione.

In questo primo contributo mi occuperò del divieto di doppia presunzione, mentre nel pezzo che verrà pubblicato domani tratterò i requisiti di precisione, gravità e concordanza della presunzione di distribuzione degli utili ai soci.

In base all’art. 2727 del C.C. “le presunzioni sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto.”

In virtù del divieto di doppia presunzione (o di presunzione di secondo grado), il fatto ignoto a cui si risale tramite la presunzione può essere desunto solo partendo da uno o più fatti noti, e non invece da un’altra presunzione (vedere in proposito, tra le altre, Cassazione 6033/1994).

Ora, alla base dell’accertamento sui soci di SRL a ristretta base societaria, vi sono due distinte presunzioni:

  1. prima presunzione = esistenza di un maggior reddito della società rispetto a quello dichiarato (soprattutto se derivante da un accertamento analitico-induttivo o induttivo);
  2. seconda presunzione = avvenuta distribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società.

Sembrerebbe, quindi, che la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, basandosi non su fatti noti bensì su un’altra presunzione, rappresenti in effetti una presunzione di secondo grado.

Tuttavia, l’orientamento consolidato della Cassazione è in senso contrario: “nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale.“ (principio questo ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, si veda ad esempio Cass. n. 7174/2002; n. 4695/2002; n. 3254/2000; n. 2390/2000; n. 14006/2003; n. 9519/2009).

Lo stesso principio è stato affermato anche facendo riferimento al rapporto di complicità tra i soci che caratterizza le SRL a ristretta base societaria (vedere ad es. Cassazione 3896/2008).

Ancora, secondo la Suprema Corte (si veda Cassazione n.1906/2008) “lo scarso numero dei soci si converte nel dato qualitativo della maggiore conoscibilità degli affari societari. La giuridicità di tale situazione oggettiva si esprime attraverso la sottoposizione del socio all’onere di conoscere, della cui osservanza egli può dare anche prova positiva, attraverso la dimostrazione dei fatti relativi al processo cognitivo, ossia dei fatti impeditivi della conoscibilità, dei comportamenti adottati per acquisire la conoscenza che siano risultati vani, così che si giustifica anche il suo stato di ignoranza, e dei comportamenti volti a far valere la responsabilità dei gestori della società per le anormalità contabili.”

Ricapitolando, secondo l’orientamento predominante della giurisprudenza di legittimità, la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci non viola il divieto di doppia presunzione, in quanto il fatto noto su cui si fonda non è il maggior utile accertato in capo alla società, bensì la ristrettezza della base sociale, che a sua volta si traduce in un rapporto di solidarietà, complicità e reciproco controllo e nell’onere di conoscere gli affari societari, da cui si deduce l’effettiva distribuzione ai soci degli utili extracontabili.

L’impostazione della Suprema Corte non può però essere condivisa.

Innanzitutto, non è affatto scontato che un limitato numero di soci sia indice certo dell’esistenza di un vincolo di solidarietà o di complicità tra i soci, anzi spesso questa supposizione non corrisponde alla realtà dei fatti: non è infrequente infatti che i rapporti sociali tendano nel tempo a deteriorarsi, e che taluni soci adottino comportamenti e strategie addirittura in danno degli altri, piuttosto che in virtù di un presunto vincolo di solidarietà (ad esempio, il socio amministratore potrebbe impossessarsi di utili in nero della cui esistenza gli altri soci sono ignari).

Allo stesso modo, non si può dire che un limitato numero di soci comporti di per sé un controllo reciproco più attento, né tantomeno un onere di conoscenza degli affari societari: si ricorda infatti che, secondo quanto stabilito dall’art. 2476 c.2 C.C., il controllo sullo svolgimento degli affari sociali è un diritto dei soci, che non può in alcun caso trasformarsi in un onere, ben potendo gli stessi lasciare ampia libertà di gestione agli amministratori, limitandosi a occuparsi delle strategie di lungo e medio periodo e non adottando invece specifici controlli sulla gestione fiscale dell’azienda.

Ancora, ove anche il suddetto vincolo di solidarietà o complicità tra i soci esistesse, non è affatto detto che il maggior reddito accertato sia stato effettivamente distribuito ai soci, ben potendo ad esempio esser stato reinvestito nell’attività imprenditoriale per fare acquisti in nero o per retribuire dipendenti in nero.

Infine, se anche gli utili extracontabili fossero stati effettivamente distribuiti, non è dato sapere con certezza con quali proporzioni sia avvenuta la distribuzione tra i soci, né quale sia stato il periodo effettivo di distribuzione.

In definitiva, come correttamente evidenziato dalla CTR Puglia n. 66/2007,dalla ristretta base azionaria non solo si fa discendere sia la presunzione di complicità fra i soci che quella di effettiva distribuzione di utili ai soci stessi, ma si fa ulteriormente discendere che tali utili sono stati distribuiti nello stesso anno di produzione e nella stessa porzione di partecipazione al capitale sociale, in una concatenazione di presunzioni che mostra i suoi gravi limiti sia nel fatto che nulla esclude che possa esservi stata alcuna distribuzione, ovvero che vi possa essere stata una diversa misura di distribuzione di tali utili o che la distribuzione possa essere avvenuta in esercizi diversi da quello al quale vengono riferiti”, con la conseguenza che “il postulato che l’automatica tassazione in testa ai soci degli utili extra-bilancio di una società di capitali debba valere per il solo fatto dell’esiguità della compagine sociale configura una grave lesione della legge stessa e dei diritti di difesa del socio contribuente.”

Per concludere, utilizzare la ristretta base sociale come unico fatto noto significa in realtà introdurre un’ulteriore concatenazione di presunzioni (ristrettezza base sociale → solidarietà, complicità e controllo tra i soci → avvenuta distribuzione utili extracontabili) in violazione del divieto di presunzione di secondo grado e spesso senza riscontri effettivi nella realtà dei fatti.