13 Febbraio 2017

È nulla la sentenza tributaria d’appello motivata per relationem

di Angelo Ginex
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La sentenza d’appello del giudice tributario che si limiti a motivare per relationem tramite mera adesione alla pronuncia impugnata è nulla, poiché in tal modo risulta impossibile cogliere le ragioni poste a fondamento del dispositivo. È questo il principio sancito dalla Suprema Corte, con sentenza del 20 gennaio 2017, n. 1543, conforme al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità.

La vicenda trae origine dalla impugnazione da parte della società destinataria di un avviso di accertamento Irpeg, Irap ed Iva relativo al periodo di imposta 2003, che veniva annullato dalla Commissione tributaria provinciale di Roma. L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in appello avverso la decisione di primo grado, che veniva rigettato dai giudici di seconde cure, e, pertanto, la medesima proponeva ricorso per cassazione, eccependo la nullità della sentenza in quanto priva di qualunque motivazione ulteriore rispetto a quella della sentenza di primo grado, a sua volta del tutto carente di motivazione.

Come noto, tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati ex articolo 111 Costituzione e, in particolare, la sentenza deve contenere la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto, affinché sia possibile comprendere la ratio decidendi (rectius, il percorso logico-giuridico) fatta propria dal giudice per pervenire alla decisione e verificare che tutte le eccezioni sollevate dalle parti siano state esaminate.

Inoltre, secondo le regole e l’orientamento tradizionale, la parte motiva della sentenza deve essere autosufficiente, nel senso che il percorso logico-giuridico seguito dal giudice si deve evincere dalla lettura della sentenza stessa.

Orbene, nel caso di specie, la Suprema Corte ha affermato che, per consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., Cass., sentenza 3547/2002; Cass., sentenza 28113/2013; Cass., sentenza 13148/2014), è nulla, per violazione degli articoli 36 e 61 D.Lgs. 546/1992, la sentenza del giudice tributario d’appello che si limiti a motivare per relationem tramite mera adesione alla sentenza impugnata, restando in tal modo impossibile cogliere le ragioni poste a fondamento del dispositivo.

Sul punto, le Sezioni Unite erano già intervenute, con la nota sentenza del 4 giugno 2008, n. 14814, statuendo che la motivazione della sentenza può essere redatta per relationem ad altra sentenza, ma, in tale ipotesi, il collegio giudicante non può limitarsi a recepire acriticamente il contenuto dell’altra decisione. In altri termini, è necessario che vengano riprodotti i contenuti mutuati e che questi diventino oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa fattispecie oggetto di causa.

Si rileva che il filone interpretativo appena rappresentato, a cui la sentenza de qua si è uniformata, supera il precedente orientamento espresso dalla medesima Corte di Cassazione, secondo il quale doveva ritenersi legittimamente motivata, ancorché per relationem, la sentenza che facesse riferimento al contenuto motivazionale di un’altra decisione (cfr., Cass., sentenza 20095/2005).

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte osserva infine come la mera adesione del giudice d’appello alla motivazione della pronuncia di primo grado non sia comunque idonea alla formazione del giudicato interno sul capo della decisione di primo grado non oggetto di espressa impugnazione.

Ciò in considerazione del fatto che, anche nell’ipotesi in cui sia configurabile il c.d. assorbimento improprio, che si ha quando la decisione è assunta in base alla soluzione di una questione esaustiva che rende vano esaminare le altre, il soccombente che voglia evitare il giudicato interno non ha l’onere di formulare un motivo di impugnazione sulla questione assorbita, essendo sufficiente censurare la decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento.

Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, i Giudici di Piazza Cavour concludono per la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

Il giudizio di primo grado nel processo tributario