7 Aprile 2014

Modalità di gestione della merce all’estero tramite deposito

di Marco Peirolo
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Ci sono imprese che vendono in Paesi extra-UE previo acquisto dei beni da un fornitore nazionale e che intenderebbero operare direttamente dall’estero, attraverso un deposito nel quale la merce – non ancora venduta – viene immagazzinata in modo da soddisfare al meglio e con maggiore tempestività le esigenze di approvvigionamento dei clienti.

Rispetto allo schema attualmente seguito, si tratta di imprese che solitamente agiscono:

  • o come esportatrici abituali, se curano loro stesse il trasporto/spedizione dei beni al di fuori della UE;
  • o nell’ambito di una cessione all’esportazione in triangolazione, nel qual caso – come è noto – il trasporto/spedizione al di fuori della UE è curato dal loro fornitore, anch’esso italiano.

I due schemi, sotto il profilo del trattamento IVA, sono essenzialmente identici, in quanto:

  • dal lato del primo cedente, la cessione “interna” viene fatturata in regime di non imponibilità:
  1. di cui all’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, se l’impresa acquirente italiana opera in veste di esportatrice abituale;
  2. di cui all’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, se l’impresa acquirente italiana opera nell’ambito della triangolazione all’esportazione;
  • dal lato del primo cessionario-secondo cedente, la cessione all’esportazione beneficia, a prescindere dal trattamento IVA del precedente passaggio, della non imponibilità prevista dall’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972.

Le differenze riguardano però il plafond, tenuto conto che:

  • nel primo schema, l’unica cessione che lo genera è quella all’esportazione, da parte cioè dell’impresa che acquista e rivende (circolare dell’Agenzia delle Dogane 27 febbraio 2003, n. 8, § 2);
  • nel secondo schema, invece, la cessione “interna” genera plafond, mentre quella all’esportazione determina un plafond in parte “libero” e in parte “vincolato” (circolare dell’Agenzia delle Dogane n. 8/2003, § 5).

Se l’impresa che vende all’estero intende trasferire la merce al di fuori della UE senza più ricorrere ad uno degli schemi illustrati, bensì utilizzando un deposito nel Paese estero in cui sono stabiliti i propri clienti, già individuati, può consigliarsi l’utilizzo, in via alternativa:

  • del “consignment stock”;
  • dell’esportazione “franco valuta”.

Nel primo caso, a differenza del secondo, il deposito non può essere “proprio”, cioè dell’impresa italiana, dovendo essere del cliente o comunque a sua disposizione (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 58 del 5 maggio 2005).

Ai fini IVA, a seguito della risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 94 del 13 dicembre 2013, le due procedure sono soggette al medesimo trattamento, in quanto le cessioni – anche se perfezionate in territorio estero – consentono comunque all’impresa italiana di emettere le relative fatture in regime di non imponibilità di cui all’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972.

In pratica, è con il prelievo dei beni dal deposito (consignment stock) e con la vendita dei beni precedentemente introdotti al suo interno (esportazione “franco valuta”) che si verifica l’effetto traslativo della proprietà; sicché la fattura di vendita genera plafond ed è rilevante ai fini della verifica dello status di esportatore abituale dell’impresa italiana.

Si osserva infatti che, similmente allo schema del consignment stock, è possibile applicare la non imponibilità alle cessioni territorialmente rilevanti in un Paese extra-UE quando l’operazione ha carattere definitivo, essendo stata concepita, fin dalla sua origine e nella relativa rappresentazione contabile, in vista del definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero; il che si verifica proprio nel caso preso in considerazione, in cui i beni verrebbero inviati all’estero per essere successivamente venduti a soggetti già individuati, che si sono impegnati ad acquistarli secondo determinate tempistiche di consegna.

La prova del carattere definitivo del trasferimento è costituita:

  • dall’annotazione in un apposito registro, tenuto ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972, delle spedizioni dei beni all’estero, riportando per ciascuna annotazione gli estremi del documento di esportazione;
  • dall’indicazione nella fattura di vendita, emessa al momento della consegna dei beni all’acquirente, della corrispondente annotazione del registro relativa ai medesimi prodotti.