8 Febbraio 2016

L’adesione allo scudo fiscale non determina un’immunità soggettiva

di Luigi Ferrajoli
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L’avvenuta adesione all’istituto dello scudo fiscale non determina un’impunibilità totale che ricomprenda anche condotte non riconducibili ai capitali oggetto di rimpatrio: è quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 2221 del 20.01.2016.

Con il c.d. scudo fiscale, disciplinato dall’art.13-bis, co.4, D.L. n.78/09, convertito con modificazioni dalla L. n.102/09 e ulteriormente modificato dal D.L. n.103/09, convertito con modificazioni dalla L. n.141/09, il legislatore ha previsto la possibilità di attuare il rimpatrio, fisico o giuridico, delle attività finanziarie e patrimoniali, illecitamente trasferite e detenute all’estero a partire da una data non successiva al 31.12.2008, a fronte del pagamento di un’imposta straordinaria, con il rilevante beneficio giuridico della non punibilità per i reati tributari di cui al D.Lgs. n.74/00, artt. 2, 3, 4, 5 e 10.

La Cassazione ha già avuto modo di affermare che tale particolare causa di non punibilità opera in relazione alle sole condotte afferenti i capitali oggetto della procedura di rimpatrio e si applica esclusivamente ai delitti in materia di dichiarazione, fraudolenta o infedele, al delitto di omessa dichiarazione nonché a quello di occultamento o distruzione di scritture contabili, offrendo copertura penale solo per i reati in cui sono rilevanti i capitali trasferiti e posseduti all’estero, poi rimpatriati o regolarizzati (cfr. Cass., sent. n.28724/2011, n.41947/2014).

La Suprema Corte ha precisato che “La ratio di questa previsione speciale (l’art. 13 cit.), che assegna al rimpatrio dei capitali e al pagamento dell’imposta straordinaria anche l’effetto di sopravvenuta causa di non punibilità, è quella di evitare che la domanda di regolarizzazione comporti anche l’emersione di una condotta di trasferimento all’estero di capitali per spontanea dichiarazione del suo autore; ciò che potrebbe costituire una remora all’utilizzo della regolarizzazione stessa che il legislatore ha invece inteso promuovere. Si giustifica allora quello che descrittivamente viene indicato come scudo fiscale: la condotta di trasferimento all’estero di quei capitali rimpatriati con la regolarizzazione mediante pagamento di imposta straordinaria e lo stesso possesso all’estero di tali capitali vengono depurati di ogni rilievo penale al fine dei menzionati reati fiscali. Ma non c’è alcun effetto espansivo esterno nel senso di un’immunità soggettiva in relazione a reati fiscali nella cui condotta non rilevino affatto i capitali trasferiti e posseduti all’estero e successivamente oggetto di rimpatrio”.

Nella fattispecie trattata dalla Cassazione con la sentenza in commento, un PM aveva proposto ricorso avverso l’ordinanza che aveva disposto la restituzione di beni sottoposti a sequestro preventivo in relazione al reato di cui all’art.4 D.Lgs. n.74/00, (omessa dichiarazione, a fini Irpef, di elementi attivi pari ad Euro 540.421,00 per l’anno di imposta 2008), sulla premessa che l’indagato si era avvalso dello scudo fiscale in relazione alla somma complessiva di Euro 350.000,00 e sulla conseguente deduzione del dubbio circa l’effettivo superamento della soglia di punibilità.

Il ricorrente aveva rilevato come non fosse stato provato che le somme rimpatriate costituissero l’oggetto della condotta incriminata e che, anche ipotizzando che le somme rimpatriate vi facessero riferimento, non poteva operare la causa di non punibilità di cui all’art.13-bis D.L. n.78/09, che presuppone il rimpatrio dell’intero profitto illecitamente conseguito.

La Cassazione ha accolto il ricorso precisando che, affinché si applichi la causa di non punibilità prevista in caso di adesione allo scudo fiscale, l’interessato deve indicare gli specifici elementi e le circostanze dai quali si può desumere che le somme rimpatriate o regolarizzate corrispondono a quelle oggetto della condotta incriminata, o, comunque, hanno attinenza con il reato contestato, potendo non esser sufficiente, a tal fine, la mera presentazione della dichiarazione integrativa.

Poiché, nel caso di specie, vi era una grande differenza tra l’importo rimpatriato (Euro 350.000,00) e l’ammontare degli elementi attivi non dichiarati (Euro 540.000,00), la Cassazione ha ritenuto che non potesse operare la causa di non punibilità, concludendo con il seguente principio di diritto: “perchè il contribuente/persona sottoposta alle indagini possa beneficiare della speciale causa di non punibilità, è necessario che vi sia, anche in sede cautelare, una certa, ancorchè non esatta, corrispondenza tra la somma rimpatriata e quella oggetto di contestazione. E’ necessario altresì che tali presunzioni fondino su dati di fatto noti che rendano quantomeno ragionevole l’approdo al fatto ignoto”.