12 Ottobre 2013

La “questione” della deducibilità dei compensi degli amministratori

di Luca MambrinSergio Pellegrino
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I compensi erogati agli amministratori di società sono indeducibili in assenza di una specifica assembleare che ne stabilisca l’ammontare: questo è l’orientamento ribadito dalla Cassazione nella sentenza n. 20265 del 4 settembre 2013.

Il dibattito in merito alla deducibilità dei compensi degli amministratori è stato oggetto di numerosi interventi da parte della giurisprudenza e di numerose interpretazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria e quindi di discussione tra gli operatori.

Già l’Agenzia delle entrate, nella recente R.M. 113/E/2012, in merito alla congruità dei compensi aveva precisato che le remunerazioni erogate dalle società di capitali ai loro amministratori sono certamente da considerare componenti deducibili dal reddito d’impresa, ma è legittimo, secondo l’interpretazione fornita, contestarne la deducibilità quando essi appaiono “insoliti, sproporzionati ovvero strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi”.

La questione, ovvero la possibilità da parte dell’Amministrazione Finanziaria di contestare la congruità degli emolumenti corrisposti agli amministratori disconoscendone la relativa deduzione, è stata oggetto di interpretazioni non sempre uniformi anche da parte della stessa Corte di Cassazione.

Nella sentenza n. 20748/2006 (che riprende anche concetti già espressi nella precedente pronuncia n. 13478/2001) la Cassazione aveva precisato che potesse rientrare pienamente nei poteri dell’Amministrazione finanziaria valutare la congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e procedere alla loro rettifica anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili; con ciò negando la deducibilità di costi sproporzionati ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, indicati nelle delibere o nei libri sociali o nei contratti con una rilevante divergenza tra il valore effettivo e il valore iscritto o riportato.

Successivamente però, nella sentenza n. 28595/2008, la Cassazione ha radicalmente mutato il proprio orientamento stabilendo che il compenso iscritto dalla società in favore degli amministratori non possa essere oggetto di un giudizio di congruità e di ragionevolezza per cui tali compensi sono deducibili come costi nel rispetto della disciplina degli artt. 60 e 109 del Tuir.

Tale orientamento è stato successivamente confermato anche nella sentenza n. 24957/2010 nel senso della deducibilità di tale componente negativo di reddito e della insindacabilità da parte dell’Agenzia delle entrate sulla congruità dei compensi degli amministratori, non prevedendo la nuova formulazione dell’art. 62 T.U.I.R. il richiamo di un parametro da utilizzare nella valutazione dell’entità di tali compensi”.

Sembra oramai consolidato, ma non privo di dubbi, anche l’orientamento espresso dalla Suprema Corte In merito alla necessità che tali compensi risultino da una esplicita delibera assembleare in assenza della quale il compenso non può ritenersi esistente e quindi non deducibile.

Nella sentenza n. 21933/2008, pronunciata a Sezioni Unite, la Cassazione ha precisato che, con riferimento alla determinazione del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilito dallo statuto della società, il diritto a tale compenso non sorge se non in forza di una specifica delibera assembleare e nega che tale delibera possa considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio.

I giudici della Corte di Cassazione ritengono che devono essere considerate distinte, per contenuto e per oggetto, la delibera di approvazione del bilancio (art. 2364 cod. civ.) dalla delibera di determinazione del compenso degli amministratori (art. 2389 cod. civ.); non è pertanto possibile ravvisare nella delibera assembleare avente un determinato oggetto un’implicita approvazione di una delibera avente un oggetto diverso.

Conseguentemente l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’art. 2389 del Codice civile, salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, in forma totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.

Nelle successive pronunce (sentenza n. 17673/2013 e sentenza n. 20265/2013), riprendendo nelle motivazioni il contenuto della sentenza n. 21933, la Cassazione afferma la necessità di una delibera assembleare esplicita anche ai fini della deducibilità fiscale di tali compensi.

Non sono certamente esenti da critiche questi ultimi orientamenti espressi dalla Cassazione: da più parti infatti è stato rilevato che subordinare la deducibilità fiscale dei compensi erogati agli amministratori alla delibera assembleare significherebbe sostanzialmente “inquinare” la normativa fiscale con disposizioni del Codice civile, che hanno tutt’altra ratio.