25 Novembre 2014

La mediazione tributaria, uno strumento che ancora non convince

di Massimo Conigliaro
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La mediazione tributaria è un istituto molto amato dall’Agenzia delle Entrate – che punta molto su tale strumento deflattivo – e sicuramente meno amato dai contribuenti. Pur tuttavia, è legge. E ciascuno, prima di proporre ricorso giurisdizionale in materia fiscale, per le liti inferiori ai 20 mila euro, deve presentare il reclamo ex art. 17-bis del D. Lgs. 546/92. A questo punto, l’Amministrazione Finanziaria – a prescindere dalla volontà conciliativa della parte contribuente – formula una proposta di mediazione e attiva un procedimento che non sempre interessa realmente le parti. Con notevole (ed a volte inutile) dispendio di energie di tutti.

Le istruzioni erariali (Circolare 9/E/2012) prevedono, infatti, che in seguito alla presentazione di un reclamo, “in assenza di proposta formulata dal contribuente, l’Ufficio valuta comunque la possibilità di pervenire a un accordo di mediazione; a tal fine, se del caso dopo aver invitato il contribuente al contraddittorio, può formulare – se ne ravvisa i presupposti – una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione della pretesa”.

Nata come rimedio amministrativo ante processo, la mediazione tributaria ha sin dall’inizio attirato le perplessità di gran parte della dottrina per una serie di ragioni: assenza della figura del mediatore, mancanza di terzietà, duplicazione dell’istituto dell’accertamento con adesione, modesto valore della lite, ma, soprattutto, condizione di ammissibilità del ricorso e irrilevanza ai fini della sospensione della riscossione.

Tali critiche hanno portato a più di una eccezione di incostituzionalità, sollevate da varie Commissioni Tributarie. Nella considerazione che i vizi fossero fondati, il legislatore è intervenuto con il l’art. 1, comma 611, della L. 147/13, che, con decorrenza 2 marzo 2014, ha rimodulato alcuni degli aspetti controversi affidati al vaglio della Corte Costituzionale. E così, quando la Consulta si è pronunciata con la sentenza n. 98 del 16 aprile 2014, numerose questioni risultavano risolte.

In particolare, per effetto di tali modifiche:

  • la presentazione del reclamo è condizione di procedibilità, e non più di ammissibilità, del ricorso;
  • la riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto impugnato sono sospesi ex lege in pendenza del procedimento di mediazione, a prescindere dalla presentazione di una richiesta di parte;
  • si applicano “le disposizioni sui termini processuali”, quali, ad esempio, le regole per il computo dei termini e la sospensione nel periodo feriale di cui alla Legge n. 742/69, anche al termine di 90 giorni, entro il quale deve concludersi il procedimento di mediazione;
  • la mediazione produce effetti anche sui contributi previdenziali e assistenziali, per i quali non sono dovuti né sanzioni né interessi.

La struttura della norma, tuttavia, rimane ancora criticabile.

Il riferimento alla mediazione – frutto probabilmente del clamore destato dalla prima applicazione di quella prevista per le controversie civili – risulta a dir poco fuorviante. Si tratta, a ben vedere, di una conciliazione stragiudiziale in ambito tributario, di un mezzo di composizione della controversia “autogestito”, che richiama la conciliazione fuori udienza prevista dall’art. 48, comma 5, del D. Lgs. 546/92, di cui costituisce una mera anticipazione (peraltro alternativa) in via amministrativa.

Peraltro, nulla vieta all’Erario, a prescindere dal valore della lite e dalla novella legislativa, di attuare i principi alla base del reclamo ed annullare gli atti, qualora ne ricorrano i presupposti, al momento della proposizione del ricorso. Nulla vieta alle parti, in ogni caso, di valorizzare la conciliazione giudiziale, fino ad oggi poco praticata da contribuenti e uffici.

Sembrano evidenti i difetti di un istituto che ha ben poco della vera e propria mediazione, nella quale è previsto l’intervento di un soggetto, terzo rispetto alle parti, che sottoscrive una dichiarazione di indipendenza, che ascolta le ragioni di entrambi i contendenti e che valuta se ci sono i presupposti per formulare una propria proposta di definizione della potenziale controversia.

Prevedere che le istanze siano gestite da strutture dell’Agenzia delle Entrate “diverse e autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili”, non appare garanzia sufficiente a superare le perplessità sulla effettiva terzietà del soggetto chiamato a valutare le richieste dei contribuenti. C’è il rischio che la mediazione tributaria, così come strutturata, fatichi a diventare l’auspicato “efficace rimedio amministrativo per deflazionare il contenzioso” e non aiuti nemmeno “a sviluppare la tax compliance” cui l’Amministrazione finanziaria ambisce.

Gli ultimi dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate, sebbene riferiti ad un anno addietro (57% di definizioni nel periodo aprile – ottobre 2013) rappresentano una realtà probabilmente alterata dal numero di mediazioni relative al bollo auto, dove c’è poco da mediare.

L’intento di deflazionare il contenzioso è condivisibile. La norma, però, non appare ancora apprezzabile né tanto meno coraggiosa. Se mediazione deve essere, che lo sia completamente: via il limite al valore della lite, apertura ai tributi locali – le cui controversie appesantiscono non poco i ruoli della giustizia tributaria – e presenza del mediatore. Altrimenti potrebbe rimanere una riforma a metà, senza reali vantaggi per nessuno. La delega fiscale, però, si è occupata diffusamente del potenziamento della conciliazione tributaria – nell’ambito della “revisione del contenzioso tributario” – e non ha ritenuto di affrontare ulteriormente il tema del reclamo e della mediazione, seppure ve ne fosse ancora bisogno. Peccato!