20 Maggio 2015

La Cassazione definisce i limiti del giudizio di ottemperanza

di Luigi Ferrajoli
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Nel processo tributario il contribuente, oltre a poter usufruire degli ordinari mezzi di esecuzione disposti dal codice di procedura civile, può ottenere l’adempimento, da parte dell’Amministrazione soccombente, di quanto statuito a suo favore da una sentenza favorevole, anche tramite la proposizione del giudizio di ottemperanza.

Tale istituto, mutuato dal diritto amministrativo, è espressamente disciplinato dall’art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992 e mira ad ottenere l’esecuzione della sentenza passata in giudicato, tramite un provvedimento utile all’esecuzione quale ad esempio un mandato di pagamento o lo sgravio dell’iscrizione a ruolo.

I presupposti per la proposizione di un giudizio di ottemperanza sono:

  • il passaggio in giudicato della sentenza (la Corte Costituzionale con la sentenza n. 316/2008 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’esperibilità del giudizio di ottemperanza riguardo sentenze non passate in giudicato);
  • l’inadempimento dell’obbligo da parte dell’Ente;
  • l’inutile decorso del termine stabilito per l’adempimento o il decorso di trenta giorni dalla messa in mora dell’Ente ad opera del contribuente.

Il giudizio di ottemperanza è introdotto mediante ricorso avanti al giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato ed il giudizio viene trattato proprio dalla sezione che ha deciso il contenzioso; il Collegio adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza e può delegare un componente o nominare un commissario che curi i provvedimenti attuativi.

Contro la sentenza è ammesso soltanto ricorso in Cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento.

Sui limiti entro i quali si può pronunciare il giudice dell’ottemperanza si è recentemente espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8830/2014; nella fattispecie in commento un contribuente aveva proposto ricorso ex art.70 D.Lgs. n.546/92 avanti alla CTR della Campania al fine di ottenere, da parte dell’Agenzia delle Entrate, l’adempimento degli obblighi sanciti dalla sentenza del medesimo Collegio, che aveva condannato l’Ente a rimborsare l’importo trattenuto a titolo di IRPEF in relazione ad erogazione consequenziale al trattamento di fine rapporto.

L’Agenzia si era costituita deducendo che il contribuente aveva richiesto il medesimo rimborso con due distinte istanze e, avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulle stesse, aveva proposto due distinti ricorsi, entrambi rigettati dalla CTP di Napoli con distinte statuizioni; la CTR Campania, con una prima sentenza, passata in giudicato, aveva rigettato l’appello proposto dal contribuente avverso una delle due statuizioni della CTP, mentre con la seconda sentenza, anch’essa passata in giudicato ed oggetto del giudizio di ottemperanza, aveva accolto l’appello proposto dal contribuente avverso l’altra decisione della CTP.

La CTR Campania, accertato il contrasto tra giudicati, aveva rigettato il ricorso per ottemperanza, riconoscendo preminenza, alla luce del principio di cui all’art. 395 c.p.c. in tema di revocazione, alla sentenza divenuta irrevocabile per prima, senza che rilevasse la mancata proposizione del giudizio di revocazione della successiva pronuncia.

Il contribuente proponeva ricorso per Cassazione, eccependo la violazione dell’art. 70 D.Lgs. n.546/92 poiché, in base alla detta disposizione, non sarebbe consentito alle parti sollevare eccezioni relative a fatti verificatisi anteriormente alla formazione del giudicato azionato, nemmeno nell’ipotesi, come nel caso di specie, in cui vi sia un precedente giudicato, né il Giudice si sarebbe potuto pronunciare su dette eccezioni, essendo suo compito esclusivamente quello di determinare il contenuto del dovere scaturente dal dictum giudiziale azionato.

La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso precisando che “in tema di giudizio d’ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso deve essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato (c.d. carattere chiuso del giudizio di ottemperanza), di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato e rendendolo quindi effettivo, ma non può essere attributo un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (Cass. 13681/2005) né può essere negato (come avvenuto nel caso di specie) il diritto riconosciuto dal dictum azionato”.

I giudici di legittimità, avendo rilevato che la sentenza impugnata nel caso in esame si era pronunciata oltre i limiti costituiti dall’oggetto del giudizio definito con il giudicato, ha quindi accolto il ricorso proposto dal contribuente.