18 Novembre 2014

Induttivo sempre possibile se il contribuente è inattendibile

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
Scarica in PDF
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.
24250, depositata in cancelleria il
13 novembre 2014, conferma ancora una volta la completa via libera agli accertamenti induttivi quando il contribuente si dimostra
totalmente inattendibile sul piano contabile, problematica che deve essere adeguatamente soppesata in sede consulenziale. La casistica analizzata riguarda
l’assunzione non regolare di lavoratori, con conseguente ipotesi di completa irregolarità delle scritture contabili. Sottolineano i supremi giudici che
“(…) l’accertata utilizzazione di tre lavoratori dipendenti non risultanti dai libri obbligatori era circostanza, peraltro contestata in sede di accertamento, idonea a far ritenere complessivamente inattendibile la documentazione fiscale e ad integrare la presunzione di maggiori ricavi non dichiarati”. In effetti non sembra possibile porre in discussione tale valutazione, posto che le deduzioni logiche possibili rispetto a lavoratori a nero sono immediate:
  • i lavoratori devono essere comunque pagati, dunque il datore di lavoro eroga emolumenti in contanti non dichiarati;
  • rispetto a tali emolumenti le violazioni sono molteplici, dal problema del riciclaggio riferito all’utilizzo del contante, alla mancata effettuazione di ritenute e contributi;
  • già sul fronte dei mancati costi contabilizzati si nota la numerosità e gravità delle violazioni commesse, posto che appunto mancano le annotazioni contabili riferite a tutte le uscite (stipendi, contributi e ritenute), che invece in caso di assunzione regolare sarebbero state registrate;
  • ovviamente mancano anche i ricavi e le relative contabilizzazioni. Ciò in quanto i dipendenti consentono all’imprenditore di realizzare maggiori entrate, oltre ad essere logico che il pagamento degli stessi transita per ricavi “a nero” non dichiarati;
  • tutte le regolarità predette si convertono in altrettanto irregolarità dichiarative, non essendo stati effettuati i relativi adempimenti.
In definitiva, affermare che in una situazione simile il contribuente è inattendibile
è del tutto assodato. Come conseguenza a ciò, si concretizzano gli estremi per l’applicazione dell’accertamento induttivo “puro” ai sensi dell’art. 39, comma 2, del D.P.R. 600/1973, recante un’elencazione tassativa delle casistiche in cui tale procedura può essere adottata. In particolare trattasi della previsione contenuta nella lett. d), secondo cui l’accertamento induttivo può essere appunto effettuato quando le violazioni, le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così
gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse.
In tale ipotesi gli accertamenti  possono essere effettuati sulla base
dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di
presunzioni non qualificate, vale a dire con un basso grado  di attendibilità, ancorché sufficiente per convincere il giudice che la ricostruzione operata assume una credibilità maggiore rispetto a quanto dichiaro dal contribuente.
Il tema della contabilità inattendibile è invero spesso sottovalutato, mentre le esperienze quotidiane dimostrano un sempre maggiore incremento delle casistiche in cui possono ravvedersi tali estremi. D’altra parte la stessa Amministrazione finanziaria ne è cosciente da tempo, posto che sostanzialmente tutte le note metodologiche che indirizzano l’attività ispettiva segnalano ai verificatori e/o accertatori l’opportunità di effettuare precisi riscontri in sede di controllo in ordine tra l’altro a:
  • l’andamento del conto cassa e ai relativi interventi di soci e/o imprenditori;
  • l’andamento delle rimanenze finali e al relativo dettaglio;
  • la presenza di personale non regolare.
Esaminato il caso del personale a nero, in riferimento alle altre due casistiche di “pericolosità” è molto semplice effettuare alcune di riflessioni critiche. Il conto cassa deve avere un “andamento razionale”. La cassa in particolare non può essere mai negativa e né, al contempo, divenire abnorme. Se il saldo è elevato, il controllo è abbastanza semplice, posto che
è sufficiente il riscontro del denaro in azienda. In ipotesi di “cassa negativa” l’analisi appare altrettanto altrettanto agevole, anche quando si ricorre all’escamotage dell’intervento per contanti dei soci o dell’imprenditore, effettuato in maniera strumentale qualche giorno prima: in tali ipotesi, infatti, a chi controlla è sufficiente “nettizzare” il conto cassa dell’apporto (fittizio) effettuato per
riscontrare il reale saldo negativo.
Sul fronte delle rimanenze il risultato è addirittura peggiore, poiché un’inventiva fervida del contribuente può avere un
effetto contrario addirittura impressionante. Si immagini di avere nelle rimanenze iniziali i prodotti A, B, C, D, E, di acquistare i prodotti F, G, H, I, L, M, N ed infine di avere nelle finali l’indicazione dei prodotti O, P, Q, R, S, T. Ebbene, un ufficio che si attiene al dato contabile potrebbe ritenere
completamente venduti i prodotti delle rimanenze iniziali e degli acquisti recuperando i ricavi a nero e al contempo contestare quali
acquisti a nero i prodotti elencati nelle rimanenze finali: in una simile ipotesi forse la soluzione meno dolorosa è dichiarare che le rimanenze non sono veritiere, con ciò richiedendo un accertamento induttivo più contenuto, se non altro in considerazione del riconoscimento di una percentuale di costi “occulti”.
Il fisco, dunque, è perfettamente consapevole di tali punti di debolezza, tanto da richiedere specifici riscontri ai propri accertatori. Allo stesso tempo, la giurisprudenza è costante nel riconoscere la validità dei conseguenti accertamenti induttivi. Illustrare ai clienti la banalità di simili comportamenti è il minimo da farsi, soprattutto facendo comprendere che il rischio concreto è di vedersi accertare importi di gran lunga
superiori a quelli eventualmente evasi. Mai come in questo caso prevenire è meglio che curare, posto che la cura (ossia la speranza di una vittoria in contenzioso) ha possibilità di riuscita pari a zero.