4 Agosto 2014

Indicazione degli elementi del netto nel progetto di scissione?

di Ennio VialVita Pozzi
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Una questione di particolare interesse riguarda la necessità o meno di indicare nel progetto di scissione, oltre agli elementi dell’attivo e del passivo anche le poste del patrimonio netto che rimangono alla scissa e che vanno alla beneficiaria.

Se dovessimo giungere alla conclusione che detta indicazione è necessaria il contribuente, senza arrecare alcuna utilità al gettito, potrebbe trovarsi in situazioni di difficoltà.

Il patrimonio netto contabile della società scissa è una posta dinamica in quanto influenzata dalla perdita o dall’utile in corso di maturazione o da politiche di distribuzione ai soci.

Quid iuris nel caso in cui la società indichi nel progetto di scissione di attribuire alla beneficiaria poste di utili di esercizi precedenti ed intervenga tra il progetto e l’atto una delibera che azzera i predetti utili?

Si potrebbe sostenere che la società in questi casi non può deliberare distribuzioni di utili ma nessun vincolo di tal fatta si legge nella norma.

La soluzione non può quindi che essere quella di evitare di indicare nel progetto la ripartizione delle poste tra la scissa e la beneficiaria.

L’art. 2506 bis del codice civile stabilisce che il progetto di scissione, oltre agli elementi di cui all’art. 2501 ter relativi al progetto di fusione deve anche descrivere gli elementi patrimoniali da assegnare a ciascuna delle società beneficiarie.

Il dato normativo non brilla certo per chiarezza, in quanto non è chiaro se il riferimento sia fatto agli elementi dell’attivo o del passivo o anche agli elementi del patrimonio netto.

Nonostante l’espressione “elementi patrimoniali” sembra fare riferimento alle poste del patrimonio netto, in realtà si riferisce alle poste dell’attivo e del passivo.

Del resto, i commi successivi precisano gli effetti nel caso in cui la destinazione di un elemento dell’attivo o del passivo non sia desumibile dal progetto.

Nessuna indicazione viene data in merito alle poste del netto. Da ciò non può che desumersi una piena libertà nell’attribuzione delle stesse da parte del contribuente fermi restando i vincoli civilistici e fiscali.

Tra i vincoli civilistici si deve annoverare la necessità di depositare lo statuto della scissa e della beneficiaria, a meno che non subiscano modifiche (anche se qualche Registro delle Imprese è di avviso diverso per cui il deposito dello statuto della beneficiaria sembra sempre obbligatorio). Dallo statuto si desume il capitale sociale. Se il capitale sociale della scissa rimane fissato nella misura originaria, nessuna riduzione di tale posta è ammessa.

Sotto il profilo fiscale si deve ricordare che l’art. 173 co. 9 del tuir stabilisce che le riserve in sospensione di imposta sono ripartite in proporzione ai patrimoni contabili rimasti e trasferiti a meno che non siano legate a specifici elementi dell’attivo, nel qual caso seguono questi elementi.

La ripartizione di tali riserve non presenta quindi criticità particolari ma il mancato rispetto del dato normativo determina spiacevoli effetti in capo al contribuente.

Sulle altre riserve esiste la massima libertà del contribuente.

Su questo punto di natura civilistica si è sbilanciata anche l’Agenzia delle Entrate con la R.M. n.317/E/2002 dove ha precisato che “nella scelta delle poste da trasferire non si ravvedono, infatti, limitazioni di natura civilistica alla discrezionalità delle società. L’articolo 2504-octies, commi 2 e 3 del codice civile fa riferimento esclusivamente alla destinazione degli elementi dell’attivo e del passivo, ma non alle voci ideali del patrimonio netto”.

L’indicazione era stata data nella vigenza della vecchia disciplina ante riforma 2004 tuttavia il contenuto della norma è identico al nuovo articolo 2506 bis c.c..

Ovviamente l’Amministrazione si preoccupa correttamente di evidenziare come la perdita della originaria qualificazione giuridica non modifichi la natura che le stesse avevano in capo alla scissa, ancorché confluite nel capitale sociale della beneficiaria.

Nella sostanza, una riserva di utili rimarrà sempre una riserva di utili e non assumerà fiscalmente la qualifica di riserva di capitali solo perché cambio la sua etichetta e ad esempio, la trasformo in capitale sociale.