20 Gennaio 2018

Impresa familiare senza litisconsorzio necessario

di Angelo Ginex
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Nel giudizio di impugnazione avverso l’avviso di accertamento concernente la rettifica del reddito di un’impresa familiare non sussiste il litisconsorzio necessario tra il titolare dell’impresa familiare e i familiari che lo collaborano. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 22 dicembre 2017, n. 30842.

La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento ad un soggetto esercente l’attività di intermediario nel commercio di auto usate. Questi impugnava tale atto dinanzi alla competente Commissione tributaria, che però rigettava il ricorso.

Pertanto, il contribuente proponeva ricorso in appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Puglia, eccependo la violazione del vincolo litisconsortile derivante dalla mancata partecipazione dei familiari al giudizio di primo grado.

Il giudice di seconde cure evidenziava, per quanto rileva in questa sede, che il contribuente risultava fiscalmente come unico titolare dell’impresa familiare e, dunque, destinatario dell’avviso di accertamento, con la conseguenza che dell’impresa ne rispondeva lui soltanto, proprio per la particolare configurazione giuridico-fiscale dell’attività che consente soltanto una diversa ripartizione degli utili e non altro.

Quindi, il contribuente proponeva ricorso per cassazione sulla base della considerazione per la quale l’accertamento de quo doveva necessariamente essere effettuato nei confronti di tutti i partecipanti dell’impresa familiare e non già del solo titolare dell’impresa, ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

Nella pronuncia in rassegna, la Suprema Corte ha rammentato innanzitutto che ex articolo 5, comma 4, D.P.R. 917/1986 il regime fiscale dell’impresa familiare trova applicazione laddove sussistano le seguenti condizioni, e cioè che vi sia:

  • indicazione, nella dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, delle quote attribuite ai singoli familiari e l’attestazione che le stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa in modo continuativo e prevalente;
  • attestazione di ciascun partecipante, nella propria dichiarazione, di aver lavorato per l’impresa familiare in modo continuativo e prevalente;
  • indicazione nominativa dei familiari partecipanti all’attività di impresa, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata anteriore all’inizio del periodo d’imposta, regolarmente sottoscritti dall’imprenditore e dai familiari (cfr., Cassazione, sentenze nn. 7995/2017, 2472/2017, 17010/2013, 23170/2010).

Sussistendo queste condizioni, il 49 per cento del reddito risultante dalla dichiarazione dell’imprenditore è imputato ai familiari che abbiano prestato in modo continuativo e prevalente la loro attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione agli utili.

Tuttavia, ammesso che il contribuente provi che si possa effettivamente configurare un’impresa familiare, non può non evidenziarsi – ha osservato la Suprema Corte – che quest’ultima appartiene esclusivamente al suo titolare (cfr., Cassazione, sentenza n. 24560/2015) e che i familiari che prestano attività lavorativa nella stessa sono semplici collaboratori e non ne sono contitolari, sicché i compensi da loro percepiti sono qualificabili quali redditi di puro lavoro e non di impresa (cfr., Cassazione, sentenze nn. 26388/2010 e 28558/2008).

In definitiva, quindi, la natura individuale dell’impresa familiare, la rilevanza della posizione degli altri familiari – che prestano la loro collaborazione e il loro apporto sul piano lavorativo – esclusivamente nei rapporti interni, nonché la circostanza che l’accertamento tributario non estende i suoi effetti alle quote di partecipazione dei collaboratori, titolari di redditi di puro lavoro, esclude che sia configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario (cfr., Cassazione, sentenza n. 874/2005).

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal contribuente, condannandolo al pagamento delle spese processuali.

 

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