2 Settembre 2015

Il trust per i soggetti deboli

di Sergio Pellegrino
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A partire da questo numero della nostra rubrica, iniziamo ad analizzare gli svariati possibili utilizzi del trust. Cominciamo con uno degli utilizzi più “nobili”, quello del trust istituito in favore di soggetti deboli.

In tutte le situazioni nelle quali vi è un soggetto debole da tutelare, l’istituto del trust, grazie alla sua poliedricità e versatilità, si presenta come strumento particolarmente adatto (circostanza testimoniata anche dall’attenzione riservata dal legislatore al trust in questo ambito nella legge sul dopo di noi – si veda il contributo su Euroconference NEWS del 3 agosto scorso).

Ad esempio, nel caso di un figlio disabile, il trust può rispondere, almeno in parte, alla naturale preoccupazione che i genitori avranno in relazione a ciò che potrà accadere quando loro non ci saranno più: il trust può essere utilizzato da questo punto di vista per garantire il fatto che il patrimonio destinato sia impiegato nel suo esclusivo interesse e che verranno seguite le indicazioni da loro fornite per tutelare il soggetto debole, anche dal punto di vista affettivo.

Così facendo, i genitori disponenti realizzano i propri obiettivi, a prescindere dalla loro morte e anche successivamente rispetto ad essa: fintanto che sono in vita, infatti, il patrimonio disposto in trust risulterà segregato rispetto al loro patrimonio personale e di conseguenza protetto per essere utilizzato con l’unica finalità di tutela del figlio disabile.

Il trust consente anche una gestione unitaria del patrimonio, che si rivela particolarmente importante per tutelare eventuali altri figli, così come gli stessi genitori disponenti.

Facciamo il caso di un genitore rimasto solo con un figlio disabile, particolarmente bisognoso di cure.

Il trust che potrà andare ad istituire il genitore sarà rivolto a garantire il miglior tenore di vita possibile e la protezione del figlio in primis, ma potrà prevedere che lo stesso disponente venga assistito dal trustee, utilizzando il patrimonio in trust, qualora egli stesso ne avesse necessità.

Nella redazione dell’atto istitutivo, il disponente potrebbe già designare all’uopo, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 408 del codice civile, l’amministratore di sostegno chiamato ad intervenire in caso di una propria eventuale futura incapacità, fissando nel contempo le condizioni da seguire per assistere il congiunto più debole qualora lo stesso disponente fosse divenuto incapace o fosse deceduto.

Nei trust istituiti a favore di soggetti deboli, trustee potrebbe essere lo stesso genitore disponente, avendosi quindi un trust autodichiarato (facciamo astrazione, per amor di patria, dalle conclusioni raggiunte dalle recenti ordinanze della Cassazione circa l’asserita illegittimità dei trust autodichiarati).

In questo caso l’atto di trust dovrà però prevedere chi sarà o che caratteristiche dovrà avere il soggetto che andrà a sostituire il genitore nell’ufficio di trustee nel momento in cui questa sostituzione dovrà avvenire (morte del genitore o sua sopravvenuta incapacità).

Laddove vi siano altri figli non disabili, il trust deve essere strutturato in modo da contemperare l’interesse del figlio svantaggiato, per il quale è necessario che questo duri per tutta la sua vita, con quello degli altri fratelli, che invece avranno presumibilmente l’interesse di ricevere almeno parte di quanto di loro competenza prima della morte del fratello (evento al quale sarà legata la durata del trust). In una situazione di questo tipo è quindi opportuno che l’atto istitutivo riconosca esplicitamente al trustee il potere di anticipazione.

Da questo punto di vista va fatta attenzione nella fase di disposizione dei beni in trust a non ledere i diritti degli altri potenziali successori, quali il coniuge e gli altri figli, intaccando la quota di legittima di loro spettanza (circostanza che non comporterebbe comunque la nullità dell’atto istitutivo, quanto piuttosto la legittimazione all’esercizio dell’azione di riduzione).

Ma perché bisognerebbe ricorrere nei casi che abbiamo esemplificato al trust quando il legislatore ha introdotto nel nostro codice gli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela, disciplinati dall’articolo 2645 ter?

Una prima differenza sostanziale è che quest’ultimo può avere ad oggetto soltanto beni immobili e beni mobili iscritti nei pubblici registri (mentre per il trust non c’è alcun tipo di limitazione circa il patrimonio che può essere disposto in trust).

Va poi evidenziato come il bene sia separato rispetto al patrimonio del conferente, ma non si produce l’effetto segregativo, ed inoltre non c’è alcuna previsione circa l’attività che deve essere svolta per realizzare le finalità meritevoli di tutela.

La norma non disciplina poi le successive vicende che si possono verificare, come ad esempio la morte o l’incapacità del conferente, così come non prevede alcuna tutela per i genitori conferenti; non prevede inoltre che cosa accada nel caso in cui la persona per la quale è stato disposto il vincolo di destinazione non abbia più bisogno di tutela (come potrebbe essere ad esempio nel caso di un trust istituito a favore di un soggetto con una qualche forma di dipendenza che venga risolta).