18 Gennaio 2024

Quale strumento per la pianificazione patrimoniale della famiglia?

di Ennio Vial
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La scheda di FISCOPRATICO

Quando si approccia il tema della pianificazione patrimoniale della famiglia, si deve necessariamente constatare come non esista una soluzione univoca, in quanto si rende necessario adattare la scelta dello strumento ad ogni concreta casistica.

Nel percorso in partenza il prossimo mese di febbraio avremo modo di passare in rassegna i principali strumenti offerti dal nostro ordinamento. Non vi è dubbio che, anche operazioni al limite della banalità, quale potrebbe essere una donazione, possano presentare un interessante profilo di pianificazione fiscale.

L’Agenzia delle entrate, infatti, ha recentemente recepito l’orientamento della Cassazione in tema di coacervo. Si è ormai consolidato un orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il coacervo “successorio” è un istituto “implicitamente abrogato” per incompatibilità a livello di applicazione con il sistema delle aliquote proporzionali introdotto dall’articolo 69, L. 342/2000. Ne consegue che, il coacervo non può più essere applicato né per determinare le aliquote né ai fini del calcolo delle franchigie. Il contribuente si trova, quindi, a poter disporre di due franchigie, una invocabile con le donazioni e una utilizzabile con la successione.

La donazione, ad ogni buon conto, rappresenta un istituto di pianificazione che possiamo definire come “grezzo” in quanto, ad esempio, non prevede possibilità di revoca se non sussiste il consenso del donatario.  Sotto questo profilo, infatti, il patto di famiglia presenta dei vantaggi non indifferenti. Il disponente, ma forse anche i legittimari non assegnatari, è titolato di un diritto di recesso che permette di ritrattare la pianificazione successoria. Altro elemento di valore del patto è costituito dalla possibilità di derogare al principio del divieto dei patti successori. Nemmeno il trust giunge a tanto.

Alla fine dei conti, tuttavia, il trust rappresenta lo strumento principe in quanto, pur essendo privo di alcuni superpoteri che l’ordinamento riconosce solo al patto di famiglia, di fatto, con la sua flessibilità, permette un adattamento opportuno alle diverse casistiche che si possono presentare nel futuro e che non sono nemmeno lontanamente immaginabili in sede di istituzione.

La flessibilità, pertanto, permette allo strumento di adattarsi in modo camaleontico alle diverse situazioni che si possono presentare concretamente. Letteralmente trust vuol dire fiducia e, in termini oltremodo approssimativi, può essere rappresentato come una attribuzione di un patrimonio ad un soggetto, il trustee, affinché questo lo gestisca come ritiene più opportuno nell’interesse dei beneficiari. Il nuovo regime di fiscalità indiretta dopo la circolare n. 34/E/2022, che rinvia l’imposta di donazione alla fase finale di attribuzione dei beni al beneficiario, semplifica la fase dispositiva dei beni, ma crea non poche complicazioni in occasione della cessazione del trust. Probabilmente molto del contenzioso in passato esistente si trasferirà dalla fase iniziale a quella finale.

Ma allora, se il trust è uno strumento così valido, è opportuno consigliarlo sempre e comunque? Assolutamente no. A parte l’inopportunità, se non la vera e propria dannosità dell’istituto implementato in situazioni di forte criticità finanziaria, non si può trascurare il rapporto che il disponente ha con il trust. Alcuni aspetti dell’istituto lo portano ai limiti della digeribilità da parte di molti. Che fare in questi casi? La soluzione migliore è sicuramente quella di orientarsi verso uno strumento meno potente, meno efficiente, ma più gestibile.  Gli irriducibili, tuttavia, potrebbero cercare di plasmare l’istituto, proprio in ragione della sua flessibilità, per favorire la digestione dello stesso. Capita di leggere talora in atti di trust che il disponente possa modificare l’atto con possibilità di stravolgerlo sino al punto di revocarlo.

Chi di flessibilità fruisce (ferisce mi pare eccessivo!) di flessibilità perisce. L’Agenzia, infatti, ritiene, errando, che l’interposizione si estenda anche alla fiscalità indiretta, per cui i beni vincolati in un trust interposto debbano rientrare nell’asse ereditario del disponente. Si tratta, ad ogni buon conto, di aspetti che avremo modo di approfondire nel percorso formativo.