23 Marzo 2015

Il trust al nodo della disclosure

di Ennio VialVita Pozzi
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La recente
Circolare n. 10/E/2015 offre spunti di riflessione in merito all’interazione tra l’istituto del
trust e quello della
voluntary disclosure. La casistica più tipica è quella del
trust
interposto.
In questo caso il veicolo trust viene, per così dire, superato ed il titolare effettivo degli investimenti deve procedere all’istanza di
disclosure. L’analisi, pertanto, non riguarda gli adempimenti che il trust deve porre in essere, ma si deve piuttosto studiare
come il trust possa essere superato in qualità di soggetto interposto.
Ci limitiamo sul punto ad evidenziare come gli orientamenti dell’Agenzia sulla questione siano stati esposti nelle
C.M. n. 43/E/2009 e C.M. n. 61/E/2010, peraltro richiamati nella recente C.M. n. 10/E/2015.
E’ appena il caso di ricordare come le indicazioni dell’Agenzia non possano essere considerate degli assiomi dalla validità assoluta, dovendo le stesse essere calate nel caso concreto. Parimenti, non si può nascondere che anche casistiche di trust, non affrontate nelle circolari, possano cadere nelle
maglie dell’interposizione come, ad esempio, il trust privo di un concreto patrimonio sottostante, istituito solo per drenare utili al disponente con motivi di mero risparmio fiscale.
Un secondo rapporto tra i due istituti nasce con il
trust estero vestito.
Può capitare che un soggetto, ancorché residente in Italia, decida di inserire determinati suoi investimenti in un trust fiscalmente residente all’estero. Si tratta di investimenti assolutamente non occultati al fisco.
La scelta di un veicolo estero è magari discesa dalla esigenza di una maggiore riservatezza, dalla sfiducia nei confronti di un trustee italiano o da altri motivi in genere.
Ebbene, il
trust, essendo
non residente, non è tenuto a compilare il
quadro RW.
Potrebbe tuttavia accadere che il
trust sia per così dire esterovestito, ossia risulti solo apparentemente all’estero ma in realtà sia
residente in Italia. E’ evidente che in questi casi si apre l’obbligo di compilare il quadro RW e di dichiarare i redditi esteri. La questione è espressamente citata dalla C.M. n. 10/E/2015 che richiama le considerazioni fatte nella C.M. n. 48/E/2007.
Una terza casistica è quella del
trust come soggetto destinatario della procedura.
Il trust, in qualità di soggetto tenuto alla compilazione del quadro RW, è uno dei possibili candidati per la
disclosure internazionale.
Ad avviso di chi scrive, si tratta di
ipotesi invero
marginali in quanto è improbabile che il trust residente, anche alla luce delle cautele ed attenzioni che riceve, possa essere il veicolo per violare il quadro RW e gli altri adempimenti dichiarativi.
Un quarto caso è costituito dai
rapporti finanziari con un trust estero.
Una fattispecie non affrontata dalla Circolare ma sicuramente possibile è legata ai rapporti che a vario titolo possono essere intrattenuti con un trust estero
da parte di un soggetto residente.
Si pensi, per fare un esempio, al caso in cui il beneficiario abbia diritto a pretendere dei beni (ad esempio della liquidità) dal
trustee e questi si sia reso disponibile a fornirgliela.
In questo caso il beneficiario vanta un
credito nei confronti di un soggetto non residente che deve trovare indicazione nel
quadro RW.
Con la C.M. n. 49/E/2009, punto. 2.3, l’Agenzia ha chiarito che sono oggetto di monitoraggio anche i
finanziamenti infruttiferi.
Sempre connesso ad un trust estero potrebbe esserci stata, nel corso degli anni, la percezione di
frutti tassabili dal trust stesso, magari bonificati in un conto estero non dichiarato. Anche in questo caso si apre la via della disclosure.
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