7 Febbraio 2015

Il notariato si esprime su pegno e usufrutto parziale di quote di Srl

di Maria Paola Cattani
Scarica in PDF

Il Consiglio nazionale del Notariato ha pubblicato il 02.02.2015 lo Studio n. 836/2014, in cui vengono esaminate, in primis, l’ammissibilità della costituzione di diritti di pegno, usufrutto e sequestro solo su parte della partecipazione di S.r.l. e, successivamente, le modalità di esercizio dei diritti connessi a tale partecipazione, in conseguenza del fatto che la stessa, per quanto unica, in queste circostanze risulta essere in parte libera ed in parte sottoposta a vincoli.

Anzitutto è opportuno ricordare che la possibilità di costituire diritti reali sulle quote di S.r.l. è stata esplicitamente riconosciuta dal Legislatore con la riforma del 2003, mediante l’inserimento dell’art. 2471-bis Cod. Civ., che prevede che «La partecipazione può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro. Salvo quanto disposto dal comma 3 dell’art. 2471, si applicano le disposizioni di cui all’art. 2352 c.c.».

La citata norma richiama la disciplina prevista per le società per azioni, per le quali, si ricorda, le azioni possono validamente essere oggetto del diritto reale di usufrutto, ovvero, in quanto beni mobili in virtù delle previsioni dell’art. 2784 Cod. Civ., di pegno, e per le quali il richiamato art. 2352 Cod. Civ. disciplina l’esercizio “disgiunto” dei diritti amministrativi e patrimoniali.

Considerati pertanto superati normativamente i dubbi sull’assoggettabilità a pegno ed usufrutto della quota di S.r.l., parte della dottrina ha avanzato quindi perplessità sulla possibilità della costituzione di un diritto reale solamente “parziale” sulle quote e, quindi, sulla possibilità di assoggettare a pegno, o di gravare di diritto di usufrutto, solo una parte della partecipazione.

L’incertezza sulla fattibilità di questa pratica, però, è strettamente correlata e conseguente al dibattito dottrinale relativo alla natura “divisibile”, o meno, della partecipazione in S.r.l.. Difatti, sempre a seguito della riforma del 2003, è stata espunta dalla disciplina delle S.r.l. l’esplicita previsione della divisibilità delle quote in caso di alienazione o successione, originariamente contenuta nell’art. 2648 Cod. Civ., il quale ora si limita a richiedere la nomina di un rappresentante comune per l’esercizio dei diritti di eventuali comproprietari della partecipazione. Conseguentemente, parte della dottrina da ciò aveva dedotto la sopravvenuta decadenza del principio di divisibilità della quota, laddove l’autonomia statutaria non l’abbia espressamente prevista.

Come argomentato, condivisibilmente, dal Notariato, tuttavia, la mancata riproduzione dell’esplicita previsione non deve indurre a ritenere che sia venuto meno il principio di divisibilità naturale della partecipazione, in quanto sussistono una molteplicità di argomentazioni, anche di carattere logico-sistematico, che portano a confermare tale posizione.

Negando infatti la divisibilità della quota, non sarebbe ammissibile la cessione parziale della partecipazione, così come, argumentum a contrariis, l’automatica acquisizione pro indiviso della quota ereditata da parte degli eredi, necessaria per la continuità delle iscrizioni, è richiesta “prima che gli stessi possano procedere all’atto di divisione vero e proprio”, finalizzato allo scioglimento della comunione.

Analogamente, nel caso di aumento del capitale a titolo oneroso in presenza di quote gravate da usufrutto, pegno o sequestro, salva una diversa clausola contrattuale, il vincolo non si estende alle “quote di nuova emissione”, sicché la partecipazione di cui è titolare il debitore può, una volta conclusa l’operazione di aumento, esser solo “parzialmente” gravata dal diritto di garanzia, situazione che si traduce in una sorta di divisione “legale” della quota, all’esito della quale, seppure in presenza di una partecipazione unitaria, una parte di essa risulta soggetta al vincolo (con conseguente attribuzione di alcuni diritti sociali al titolare dello stesso) mentre l’altra (quella accresciuta in sede di sottoscrizione dell’aumento a pagamento) ne risulta libera. Per altro, la medesima situazione si verificherebbe nel caso in cui un socio, che avesse dato in pegno, usufrutto o sequestro l’intera sua quota, dopo la costituzione del vincolo, acquistasse da altro socio un’ulteriore partecipazione.

Sulla scorta di tali considerazioni, il Consiglio nazionale del Notariato conclude ritenendo ammissibile la costituzione di un vincolo parziale.

Quanto alle modalità di esercizio dei diritti connessi alla partecipazione parzialmente soggetta a pegno, usufrutto o sequestro, il Notariato si limita a ricordare il richiamo contenuto nell’art. 2471-bis, c.c. all’art. 2352, relativo alle S.p.A., ove è prevista esplicitamente la possibilità della “diversa pattuizione” tra creditore pignoratizio (o usufruttuario) e socio. Di conseguenza, il titolare del diritto minore e il socio possono graduare la spettanza del diritto di voto, sia sul piano quantitativo (la percentuale spettante ciascuno) sia sul piano qualitativo (delibere per le quali il voto spetta esclusivamente all’uno od all’altro soggetto).

Seppure la norma richiamata, relativa alle S.p.A., disciplini in maniera abbastanza completa le tipologie di diritti esercitabili e le relative graduazioni e sebbene la dottrina abbia diffusamente esaminato le differenti sfumature connesse all’esercizio di tali diritti, appare senz’altro consigliabile, in presenza di “diritti parziali”, usufruire della possibilità prevista dalla Legge di una pattuizione negoziale anche dell’esercizio dei diritti connessi alle quote, soprattutto in considerazione del fatto che, essendo il ricorso alla costituzione di pegno solitamente rivolto a garantire obbligazioni proprie o di terzi, una regolamentazione in tal senso può accrescere la tutela delle parti, minimizzando il rischio di successive contestazioni.

Si ricorda, tuttavia, che, in tali ipotesi, è necessaria la pubblicità ex art. 2470 Cod. Civ., per far valere l’eventuale diversa spettanza del diritto di voto nei confronti della società.