10 Luglio 2023

Gli aspetti negoziali della dichiarazione fiscale

di Stefano Rossetti
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La scheda di FISCOPRATICO

La dichiarazione fiscale rappresenta, in linea generale, una dichiarazione di scienza.

Il contribuente, mediante il modello dichiarativo, comunica all’Amministrazione finanziaria gli elementi che hanno concorso alla determinazione del tributo che è stato oggetto di autoliquidazione.

Alcune parti della dichiarazione, invece, sono riconducibili all’instaurazione di un rapporto negoziale tra il contribuente e l’erario.

Rapporto negoziale che, chiaramente, discende dalla legge ed è da essa regolato.

In sostanza il contribuente attraverso la compilazione della dichiarazione compie delle scelte tra regimi alternativi messi a disposizione dall’ordinamento.

Un’ipotesi di rapporto negoziale è quello previso dall’articolo 86, comma 4, Tuir, secondo cui “le plusvalenze realizzate, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, o a due anni per le società sportive professionistiche, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto”.

Il contribuente, dunque, si trova di fronte alla scelta, condizionata al rispetto del periodo minimo di possesso triennale) di tassare la plusvalenza in un’unica soluzione nel periodo d’imposta del realizzo, ovvero in quote costanti (fino a 5) nei successivi periodi d’imposta.

Tale scelta, come previsto dal secondo periodo del comma 4 dell’articolo 86 Tuir, deve risultare dalla dichiarazione dei redditi.

Nello specifico le istruzioni ministeriali prevedono che, in caso di rateizzazione della plusvalenza, occorre effettuare:

  • una variazione in diminuzione pari alla plusvalenza rateizzata;
  • una variazione in aumento pari alla quota di plusvalenza da tassare.

Un’analoga disposizione è contenuta nell’articolo 88, comma 3, lett. b), Tuir, secondo cui costituiscono sopravvenienze attive i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui alle lettere g) e h) del comma 1 dell’articolo 85 [si tratta dei contributi in denaro, o il valore normale di quelli, in natura, spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto e dei i contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge] e quelli per l’acquisto di beni ammortizzabili indipendentemente dal tipo di finanziamento adottato. Tali proventi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto”.

Un’altra disposizione che fa della dichiarazione fiscale una manifestazione di volontà è l’articolo 84 Tuir, il quale prevede che “la perdita di un periodo d’imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare”.

Il fatto che lo scomputo delle perdite sia una scelta del contribuente è confermato dalla Corte di Cassazione che, con alcune sentenze, ha avuto modo di affermato che “in tema di imposta sul  reddito delle persone giuridiche, l’esercizio della facoltà di opzione, riservata al contribuente dal Tuir, articolo 84 (vigente ratione temporis), di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi  negli  anni  pregressi  portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette  perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, costituisce manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza, con la conseguenza che essa deve  essere  esercitata mediante una chiara indicazione nella dichiarazione non potendosi a tal fine l’Amministrazione sostituirsi al contribuente” (Corte di Cassazione n. 25566/2017, n. 5105/2019 e n. 16977/2019).

In tutti i casi in cui la dichiarazione dei redditi contiene una manifestazione di volontà, la scelta del contribuente non può essere modificata mediante dichiarazione integrativa ex articolo 2 D.P.R. 322/1998.

Sul punto la giurisprudenza è monolitica (per tutte vedasi la sentenza n. 5105/2019).

I contribuenti, dunque, sono tenuti a prestare particolare attenzione alle scelte che vengono compiute in sede di determinazione del carico fiscale, poiché tali scelte sono irreversibili.

Questo perché la dichiarazione integrativa può correggere soltanto errori od omissioni (come prevede l’articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998 e articolo 8, comma 6-bis, D.P.R. 322/1998) e certamente la scelta di un determinato regime fiscale rispetto ad un altro:

  • non rappresenta un errore, ma al massimo può rappresentare un errore di valutazione a cui il fisco rimane insensibile;
  • non rappresenta di certo un’omissione.