25 Gennaio 2019

Forfettari: la prevalenza dell’impiego si misura sui compensi incassati

di Fabio Garrini
Scarica in PDF

Le scelte di convenienza legate all’applicazione o meno del regime forfettario stanno tenendo banco negli studi professionali di tutta Italia; tali considerazioni però devono essere precedute e coordinate con la necessaria verifica circa l’effettiva possibilità di applicare il regime originariamente introdotto dalla L. 190/2014.

I riscontri più delicati riguardando il possesso di partecipazioni societarie e la verifica di rapporti intrattenuti con il datore di lavoro attuale ovvero precedente; rapporto che non deve essere prevalente. Sotto tale profilo, l’Agenzia delle Entrate precisa che la prevalenza deve essere valutata in base ai ricavi e compensi incassati nel corso del periodo d’imposta.

Le modifiche della L. 145/2018

Il regime forfettario è stato modificato dalla L. 145/2018; il funzionamento è rimasto pressoché inalterato, mentre sono state corrette le previsioni riguardanti:

  • sia i requisiti di accesso previsti all’articolo 1, comma 54, L. 190/2014, dove, in particolare, è rimasto come unico vincolo quello relativo ai ricavi e compensi incassati nell’anno precedente quello di applicazione del regime (l’Agenzia sul punto precisa che per l’applicazione del regime nel 2019 occorre analizzare l’anno 2018, tenendo già conto del nuovo tetto fissato ad € 65.000, unico per tutte le attività, in conformità alla posizione già assunta nella circolare 10/E/2016);
  • quanto le cause di esclusione contenute nel successivo articolo 1, comma 57, L. 190/2014. A tal fine, rispetto al passato, divengono ostative anche le partecipazioni possedute in S.r.l., se di controllo e riconducibili all’attività svolta dal contribuente; altrettanto, occorre verificare se il contribuente esercita attività nei confronti del datore di lavoro, attuale o precedente.

Con riferimento a tale ultimo aspetto viene completamente riscritta la lettera d-bis) dell’articolo 1, comma 57, L. 190/14, sostituendo il vincolo legato all’ammontare del reddito di lavoro dipendente percepito (€ 30.000) con la verifica del rapporto nei confronti del datore di lavoro.

In altre parole, dal 2019 il regime forfettario è applicabile indipendentemente dai redditi conseguiti dal contribuente, ma viene guardato con sospetto chi emette fatture a soggetti con i quali ha (oppure ha avuto di recente) rapporti di lavoro.

Oggi non possono accedere al regime forfettario “le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta, ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro.”

La previsione attuale si presenta senza dubbio maggiormente favorevole rispetto alla precedente; ad essa è attribuita la finalità di evitare illeciti spostamenti di reddito dalla sfera del lavoro dipendente a quella di impresa o lavoro autonomo.

Se l’intento è condivisibile, non si può nascondere come la disposizione presenti diversi dubbi applicativi.

Non è noto quali siano i rapporti che possano innescare la presente limitazione; letteralmente, il vincolo nascerebbe solo in corrispondenza di rapporti di lavoro dipendente, visto il richiamo alla figura del “datore di lavoro”, mentre altri rapporti (come ad esempio quelli di collaborazione o lavoro occasionale), non dovrebbero far scattare la verifica.

Altrettanto non è chiaro chi siano i soggetti “direttamente o indirettamente riconducibili” al datore di lavoro. Certamente il vincolo di presenta quando si ha a che fare con altre società del gruppo, ma non sempre il perimetro è sufficientemente chiaro (ad esempio, se la società di cui sono dipendente ha soci solo in parte coincidenti con quelli che controllano la società alla quale fatturo, vi è o meno “riconducibilità”?).

Fortunatamente l’Agenzia ha proceduto a chiarire come debba essere declinata la “prevalenza” dei rapporti nei confronti del datore di lavoro; non avrebbe infatti alcuna rilevanza il tempo impiegato, ma piuttosto occorre far riferimento a quanto viene ritratto dalle prestazioni rese a tale soggetto.

Quindi se i compensi derivanti dal datore di lavoro fossero pari ad € 10.000, mentre quelli ottenuti da altri fossero di ammontare pari ad € 15.000, il regime forfettario sarebbe applicabile.

Va notato che, se in questo modo la previsione diviene più chiara (e basata su un parametro oggettivo), allo stesso tempo non si può nascondere come questa verifica, da condursi a consuntivo, potrebbe lasciare una alea di incertezza sull’applicazione del regime agevolato.

Da notare poi che, secondo l’Amministrazione Finanziaria, il riferimento deve essere alle somme incassate nel periodo d’imposta; si tratta di una posizione condivisibile, in linea con la logica del regime, che sottopone a tassazione i ricavi o compensi incassati nel corso del periodo d’imposta.

Allo stesso tempo i contribuenti devono verificare con accuratezza gli incassi dell’anno (verso il datore di lavoro e verso altri), perché tale fattore finisce per incidere in maniera cruciale sulla possibilità di continuare ad applicare il regime forfettario. In definitiva, quando si opera anche nei confronti del datore di lavoro attuale o precedente, la permanenza nel regime risulta vincolata ad un comportamento esterno, ossia il momento in cui i clienti pagano le fatture, aspetto spesso difficilmente governabile.

Diritto e fiscalità del trust