9 Ottobre 2023

Finanziamenti a tasso zero ai clienti con contributo (in)deducibile Irap?

di Fabio Landuzzi
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La scheda di FISCOPRATICO

Una pratica molto comune nel commercio di diverse tipologie di prodotti vede il realizzarsi di un concorso fra il distributore/venditore dei beni e una società finanziaria – talora anche appartenente al medesimo gruppo d’imprese – volto a incentivare l’acquisto, da parte del cliente finale, mediante l’erogazione a suo favore di un finanziamento a tasso zero, o comunque ad un tasso agevolato rispetto a quello di mercato. Nel contesto dell’operazione, il cedente del bene assume a proprio carico l’onere di riconoscere alla società finanziaria un corrispettivo per la prestazione del servizio reso.

Lo schema negoziale, sebbene nella pratica del commercio possa assumere forme variegate, ripercorre essenzialmente i seguenti passi:

  • il cliente acquista i prodotti dal venditore;
  • una società finanziaria eroga al cliente un finanziamento a tasso zero (o a tasso agevolato) consentendo al cliente di eseguire il pagamento in forma rateale;
  • il venditore incassa direttamente il prezzo di cessione di prodotti dalla società finanziaria, mediante la stipulazione di un separato accordo, il quale prevede, a carico del venditore, il pagamento di un corrispettivo alla società finanziaria stessa;
  • fra il cliente e la società finanziaria viene stipulato un contratto di finanziamentoa tasso zero (o tasso agevolato).

La società che vende i prodotti, di norma, iscrive i corrispettivi dovuti alla società finanziaria, in base del principio di competenza, o fra i costi per servizi (voce B.7 Conto economico) oppure a diretta riduzione dei ricavi delle vendite (quindi, a diminuzione della voce A.1 Conto economico) come nel caso degli sconti commerciali.

L’Agenzia delle entrate, nella risposta ad interpello n. 46/2023 ha, invece, qualificato tali costi per la società venditrice dei beni come oneri di natura finanziaria che, in quanto tali, non sono deducibili ai fini Irap. È stata data preminenza al fatto che sussisterebbe una stretta connessione fra tale corrispettivo e l’erogazione del finanziamento al cliente, per via del fatto che, senza l’intervento del venditore e il pagamento del corrispettivo, il finanziamento non potrebbe essere  erogato; si è poi tenuto conto del fatto che l’entità del corrispettivo è collegata a diverse variabili del finanziamento (ammontare, durata, ecc.); infine, è stato fatto riferimento alla disciplina Iva del corrispettivo che la stessa prassi dell’Amministrazione finanziari (risoluzione n. 71/E/1998) ha ricondotto al regime di esenzione, di cui all’articolo 10, D.P.R. 633/1972, per via della sua natura finanziaria.

L’Agenzia delle entrate, nella sua argomentazione, ha quindi ricondotto la fattispecie alla nozione di “oneri di transazione” di cui al Principio contabile Oic 19, par. 20.

Dall’altra parte, si è, invece, soprasseduto dal dare rilevanza al fatto che il corrispettivo di cui si tratta non è collegato ad alcuna dazione di denaro dalla società finanziaria all’impresa venditrice che sostiene il relativo onere.

La questione è stata di recente oggetto anche di un arresto giurisprudenziale (Cassazione n. 6329/2023) che ha confermato l’orientamento espresso dall’Amministrazione finanziaria nella citata risposta ad interpello n. 46/2023, anche se lo ha fatto sviluppando un ragionamento molto differente, principalmente basato sull’interesse precipuo del venditore dei beni alla erogazione del finanziamento al cliente, e rifacendosi alla nozione di “contratto a favore di terzo”.

La conclusione raggiunta nel citato documento di prassi e nell’ordinanza della Cassazione, non sono (a nostro avviso) pienamente convincenti, in quanto entrambi prescindono completamente dal considerare che, nel caso di specie, fra il soggetto che vende i beni e corrisponde il corrispettivo, e la società finanziaria che eroga il finanziamento e riceve il corrispettivo, non intercorre alcun rapporto di finanziamento né diretto e né indiretto. I contratti che vengono stipulati nel caso di specie sono due e ben distinti, anche nelle rispettive parti contraenti: uno è quello di compravendita fra il venditore e il cliente; l’altro è quello di finanziamento, fra la società finanziaria e il cliente. È perciò difficile poter configurare che ricorra un contratto a favore del terzo in una simile circostanza.

Peraltro, non solo una prassi sebbene più datata dell’Amministrazione Finanziaria aveva riconosciuto la non qualificazione finanziaria dell’onere in questione, ma anche un più recente arresto giurisprudenziale (Cassazione n. 26122/2019) aveva proprio escluso che nel rapporto fra la società venditrice e la finanziaria potesse configurarsi un contratto di finanziamento.

Il caso trattato nell’Ordinanza appena citata è molto interessante, e riguarda un noto operatore di credito al consumo; nel caso di  specie, la Suprema Corte ha “escluso che trattasi di costi sostenuti per ottenere finanziamenti bancari (…) atteso che le operazioni di finanziamento riguardavano soggetti terzi, ovvero clienti della stessa”, ed ha quindi concluso affermando che“le spese sostenute per consentire il rilascio di tali finanziamenti in loro favore risultavano correttamente rilevate dalla (…)tra i costi per servizi, deducibili ai fini IRAP.