8 Settembre 2023

Fatture per operazioni inesistenti: la responsabilità collegiale del CDA

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Come noto, il legislatore prevede importanti sanzioni in caso di frode fiscale attuata mediante l’emissione o l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Nello specifico, ai sensi dell’articolo 2 D.Lgs. 74/2000 si applicata la reclusione da quattro a otto anni nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi.

Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono comunque detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

Sul punto, giova ricordare che per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

La rilevanza penale della condotta in rassegna non è subordinata al raggiungimento di parametri quantitativi riferiti all’ammontare dell’imposta evasa (c.d. soglia di evasione).

In merito, essendo la fattispecie criminosa in rassegna un “reato di tipo dichiarativo”, il soggetto che ha ricevuto fatture relative ad operazioni fittizie emesse da soggetti terzi, che ha annotato in contabilità senza inserirle nella dichiarazione presentata ai fini IVA e ai fini delle imposte sui redditi, non può essere chiamato a rispondere in sede penale neanche a titolo di tentativo (articolo 6, D.Lgs. 74/2000).

Di contro, ai sensi dell’articolo 8, D.Lgs. 74/2000, è prevista la reclusione da quattro a otto anni nei confronti di chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 8, D.Lgs. 74/2000).

Per entrambi i reati penali tributari sopra illustrati, il giudice può disporre la c.d. “confisca per equivalente”, a mente dell’articolo 12-bis, D.Lgs. 74/2000.

Infatti, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’articolo 444 c.p.c., per uno dei delitti previsti dal D.Lgs. 74/2000, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.

Sempre in tema di frode fiscale la Corte di cassazione, con sentenza n. 35314/2023, ha confermato la punibilità per i componenti del consiglio di amministrazione, che risultano tutti solidalmente responsabili per i reati di utilizzo ed emissione di fatture false (articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000), salvo che non siano state attribuite specifiche deleghe ad alcuni amministratori e non venga rilevata un’omissione dei doveri di controllo previsti dall’articolo 2392 cod. civ.

Leggendo attentamente la sentenza sopra citata si evince che, con ordinanza del 24.1.2023, il Tribunale di Latina, in sede di riesame, aveva confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente disposto nei confronti dell’indagato, in qualità di componente del Consiglio di Amministrazione di una “società cooperativa integrata sociale”, esercente l’attività di accoglienza di cittadini provenienti da Paesi terzi richiedenti asilo e rifugiati politici, per i reati previsti e puniti dagli articoli 2 e 8, D.Lgs. 74/2000.

Sul punto, la difesa dell’indagato proponeva appello in quanto il Tribunale del riesame “si sarebbe limitato ad argomentare su un piano meramente astratto”, senza avere proceduto alla ricostruzione e alla valutazione della base fattuale e senza dare risposta alla specifica deduzione difensiva.

In particolare, veniva contestata la possibilità di riconoscere indizi di responsabilità penale, in ragione della supposta natura colposa della responsabilità derivante dalla violazione dell’articoli 2392, cod. civ. sostenendo, nel contempo, la mancata assunzione della veste di legale rappresentante dell’ente in capo al ricorrente, con conseguente impossibilità giuridica dello stesso di impedire l’evento.

Nel provvedimento impugnato mancherebbero, a parere del ricorrente, argomenti che diano conto dell’avvenuta percezione, da parte dell’amministratore, di fatti rilevatori di consistenti anomalie nella gestione, del compimento di operazioni ingiustificate o comunque di situazioni societarie non conformi alla legge o allo statuto.

Il Tribunale avrebbe così semplicemente attribuito una responsabilità “da posizione” fondata sul solo ruolo rivestito dall’imputato in seno alla società nel periodo di riferimento.

Ciò posto, gli ermellini hanno respinto il ricorso.

Infatti sulla base del consolidato orientamento espresso in sede di legittimità, viene confermato che l’articolo 2392 cod. civ., norma che regola la posizione di garanzia degli amministratori all’interno delle S.p.A., dispone che questi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi così come ribadisce specificamente, per il consiglio di amministrazione, l’articolo 2381, comma 2, cod. civ..

I giudici di Piazza Cavour formulano un interessante principio di diritto: “dovendosi distinguere l’ipotesi in cui il consiglio di amministrazione operi con o senza deleghe, deriva dal suddetto assetto normativo che, a meno che l’atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondano – salvo il meccanismo di esonero contemplato dal terzo comma dell’articolo 2392, cod. civ., che prevede l’esternazione e l’annotazione dell’opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa – degli illeciti deliberati dal consiglio, anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti”.

Nello specifico, in tema di reati tributari, nel caso di delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione, nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull’andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia di cui all’articolo 2392, cod. civ. (Cassazione n. 30689/2021).

Con riferimento poi alla sussistenza del fumus commissi delicti, le fatture per operazioni inesistenti sono anche quelle che si connettono al compimento di un negozio giuridico apparente diverso da quello realmente intercorso tra le parti.

Infatti, l’articolo 2 D.Lgs. 74/2000 sanziona ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, tenuto conto dello speciale coefficiente di insidiosità che si connette all’utilizzazione della falsa fattura.

In altri termini, conferma la suprema Corte, la fattura – al pari di tutti gli elementi equipollenti – deve contenere una rappresentazione veritiera di tutti i dati significativi, “sicché assume rilevanza anche l’inesistenza giuridica, la quale si verifica ogniqualvolta la divergenza tra la realtà e la rappresentazione riguardi la natura della prestazione documentata in fattura con ciò determinandosi una alterazione del contenuto del documento contabile”.

In definitiva, gli ermellini rilevano che il Tribunale ha preso in esame ogni singola compagine sociale, individuando concretamente gli elementi dai quali emerge la sussistenza del fumus commissi delicti.