3 Maggio 2021

Fatture false: scatta il reato anche senza vantaggio economico per l’emittente

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

L’ordinamento penale tributario contempla specifiche sanzioni in capo ai soggetti che prendono parte ad una frode fiscale attuata mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

In particolare, vengono previste due fattispecie di reato:

  • la presentazione della dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. In tale prima ipotesi, l’articolo 2 D.Lgs. 74/2000 prevede la reclusione da quattro a otto anni per chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi che consentono di ridurre la base imponibile o il debito Iva;
  • l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. In merito, l’articolo 8 D.Lgs. 74/2000 sanziona con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Sul punto, la prassi operativa ha chiarito che la falsità delle fatture

  • può avere carattere oggettivo, quando riguarda operazioni inesistenti sul piano materiale, in tutto o in parte, al fine di consentire all’utilizzatore di “abbattere” il proprio reddito mediante la deduzione di costi fittizi,
  • oppure può avere carattere soggettivo, nel caso in cui le operazioni siano in realtà intercorse tra soggetti diversi da quelli fatti documentalmente figurare quali parti del rapporto, allo scopo di permettere all’utilizzatore di portarsi in deduzione costi effettivamente sostenuti, ma non documentanti o non documentabili ufficialmente per varie ragioni; una connotazione particolare di tale ultima casistica, riguarda il caso in cui gli acquisti di beni o servizi siano avvenuti “in nero” presso soggetti diversi da quelli che risultano formalmente avere emesso le fatture (circolare 1/2008 del Comando Generale della Guardia di Finanza – volume II – parte IV – capitolo 5, pag. 97).

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19218 del 07.11.2012, ha sancito l’indetraibilità dell’Iva assolta sugli acquisti in presenza di fatture soggettivamente inesistenti tenuto conto delle modifiche apportate dall’articolo 8 D.L. 16/2012, che è intervenuto sul comma 4-bis dell’articolo 14 L. 537/1993 (recante la disciplina dei costi da reato).

In particolare, il supremo giudice di legittimità ha affermato che: “In tema di Iva, è indebita la detrazione d’imposta relativa a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anche se la merce sia stata realmente acquistata ed i costi risultino effettivamente sostenuti, non essendo la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture una circostanza indifferente ai fini dell’Iva: da un lato, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente e, dall’altro, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza all’impresa, requisito mancante in relazione all’Iva corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza”.

In definitiva possiamo affermare che, per effetto delle modifiche intervenute con il D.L. 16/2012:

  • l’Iva assolta sugli acquisti derivanti dalla contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, sia oggettivamente che soggettivamente, risulta indetraibile ai fini fiscali;
  • i costi relativi a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, che derivano da un reale acquisto della merce sono deducibili dal reddito di impresa, a condizione che vengano rispettati i noti requisiti di certezza ed obiettiva determinabilità, inerenza e competenza economica (ex articolo 109 Tuir);
  • i costi relativi a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti sono, in linea si principio, indeducibili dal reddito d’impresa.

Tuttavia, per quando riguarda le fatture oggettivamente inesistenti, ovvero nella particolare circostanza in cui il documento fiscale attesti l’esecuzione di un’operazione in tutto o in parte mai avvenuta, in ossequio al principio di capacità contributiva, l’articolo 8, comma 2, D.L. 16/2012 stabilisce che “ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi”.

In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25% al 50% dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi.

Proprio sul tema dell’emissione e dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, si segnala il recente orientamento espresso dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 16353/2021 depositata il 29.04.2021, nella quale è stato confermato che “scatta” il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche qualora il cedente/emittente non abbia conseguito alcun vantaggio.

Le attività di indagine eseguite dalla Guardia di Finanza avevano svelato un complesso ed articolato sistema di frode nell’ambito del quale l’associazione criminosa si serviva, per compiere le operazioni fraudolente, di taluni esercenti depositi commerciali che emettevano “fatture soggettivamente inesistenti” attestanti la vendita del prodotto a soggetti in realtà ignari della fornitura.

Gli Ermellini hanno evidenziato che il reato di emissione di fatture soggettivamente inesistenti consente all’ente destinatario della falsa fattura di conseguire un ingiusto profitto in termini economici, ma non comporta necessariamente un analogo vantaggio in capo all’ente che la emette.

Nello specifico, i Supremi giudici di legittimità hanno opportunamente affermato che le operazioni di emissione di fatture inesistenti vedono coinvolti due soggetti:

  • quello che emette le fatture (che risponde del reato previsto e punito dall’articolo 8 D.Lgs. 74/2000);
  • quello che utilizza le fatture false, portandole in detrazione e inserendole nella sua contabilità, responsabile del reato previsto e punito dall’articolo 2 D.Lgs. 74/2000.

In definitiva, è stato chiarito che il profitto conseguito da parte dell’acquirente, pari al risparmio di imposta, deve tenersi distinto dall’eventuale profitto previsto a favore dell’ente emittente pari al prezzo (o compenso) previsto per l’emissione delle fatture, che di regola risulta molto inferiore al profitto dell’utilizzatore.