29 Giugno 2023

Esportazioni a cura del cliente estero: prova, regolarizzazione e cautele

di Francesco Zuech
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La scheda di FISCOPRATICO

La recente risposta ad istanza di interpello n. 32/2023 offre lo spunto per rispolverare regole, criticità e suggerire accorgimenti in tema di esportazioni “improprie”.

Nel confermare le già note aperture conseguenti agli insegnamenti della Corte di giustizia europea, l’Agenzia, stimolata da apposito interpello, ha infatti aggiornato (considerando le novità in vigore dal 2017 in materia di detrazione) modalità e tempistica per il recupero dell’Iva che – entro il 120° gg giorno dalla consegna – il fornitore dovesse (cautelativamente) avere addebitato al cessionario per il mancato riscontro, entro detto termine, dell’avvenuta esportazione. Procediamo con ordine.

 

Esportazioni improprie

Sono esportazioni improprie (articolo 8/b D.P.R. 633/1972), com’è noto, le “cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità economica europea … a cura del cessionario non residente o per suo conto” ovvero da parte del cessionario estero che viene a ritirare con mezzi propri o tramite trasportatore dal medesimo incaricato.

Si tratta, in sostanza, di cessioni con rese in partenza (EXW, FCA … o comunque altre rese prima del FOB) dove il fornitore residente perde il controllo dei beni nel territorio nazionale o comunque prima dell’uscita da quello unionale.

Che la prova doganale (visto uscire del MRN abbinato al DAU exp) sia necessaria anche per il caso in analisi è cosa nota.

A differenza del caso dell’esportazione propria (articolo 8/a) in cui il fornitore agisce in prima persona (o comunque con vettore/spedizioniere dal medesimo incaricato), nel caso di esportazione impropria (articolo 8/b, cit.) il fornitore è, invece, nelle mani della controporte con rischi annessi e connessi giacché (limitandoci alla tenuta della non imponibilità) l’effettiva uscita con l’appuramento del MRN nella dogana d’uscita è rimessa al comportamento virtuoso della controparte (e le sorprese spiacevoli non sono così rare).

Ciononostante l’uso delle rese in partenza è molto diffuso in particolare per chi ha poca dimestichezza con le spedizioni internazionali.

Vediamo quindi (laddove non si voglia considerare una diversa negoziazione della resa) quale può essere l’approccio per cercare di ridurre detto rischio (fiscale) anche cavalcando l’esimente che offre l’impianto sanzionatorio per il caso in questione (articolo 7, comma 1, D.Lgs. 471/1997) e le precisazioni della prassi indicata in premessa.

 

La mancata esportazione impropria e la procedura di regolarizzazione

Ricordiamo che (letteralmente) l’articolo 8/b dispone affinché l’esportazione debba avvenire entro 90 giorni dalla consegna dei beni (da non confondere con i 90 giorni dalla data di svincolo per l’esportazione risultante dalla procedura doganale trascorsi i quali la dogana di esportazione solitamente avvia la procedura di richiesta informazioni e l’eventuale invalidamento della bolletta); la mancata uscita nei citati 90 giorni non può, tuttavia, dare origine ad accertamento dell’Iva non addebitata se l’esportazione risulta effettuata (e provata) ancorché successivamente ai suddetti 90 giorni (anche oltre i 120 giorni), ma prima dell’accertamento.

Detto termine non sarebbe infatti conforme alla Direttiva 2006/112/CE (articoli 146 § 1/b e 131) nella parte in cui si spingesse a sanzionare (anche) con l’applicazione dell’Iva un’esportazione effettivamente avvenuta, ancorché successivamente al termine fissato dalla norma nazionale, senza consentirne il rimborso (o recupero) dell’Iva stessa, acquisita la prova dell’esportazione (sentenza Corte di Giustizia 19.12.2013 in causa C-563; risoluzione AdE 98/E/2014; risposta ad istanza di interpello n. 32/2023, cit.).

Poiché la lotta contro evasione, elusioni ed eventuali abusi è un obbiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva rimane fermo, quindi, che è consentito alle normative nazionali stabilire “un termine ragionevole per le esportazioni, che tenga conto della pratiche commerciali …, al fine di verificare se un bene  … sia effettivamente uscito dall’Unione”. 

In tal senso, secondo l’Agenzia delle entrate, i 90 giorni previsti della norma nazionale (art. 8/b), al pari della procedura di regolarizzazione nei successivi 30, prevista dall’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 471/1997, non contrasta quindi con la direttiva comunitaria.

Ricordiamo pertanto che la norma da ultimo citata:

  • individua la sanzione dal 50 al 100% dell’Iva (invece del 90-180% previsto negli ordinari casi di omessa fatturazione dell’Iva) nel caso in cui l’esportazione impropria non sia avvenuta entro i 90 giorni dalla consegna;
  • riconosce tuttavia un’esimente (che vale solo per le esportazioni improprie dell’articolo 8/b o al limite anche per quelle, per finalità umanitarie, di cui alla lettera b-bis) secondo cui detta sanzione non è irrogabile se il fornitore provvede a regolarizzare l’operazione emettendo – verso il cliente estero – nota di debito di sola Iva entro i 30 giorni successivi ai 90 (cioè entro i 120 giorni totali dalla consegna) versando (letteralmente entro il termine medesimo) l’imposta all’Erario.

Ciò premesso, vediamo quali possono essere gli scenari riscontrabili ed i possibili accorgimenti.

 

Prova acquisita oltre i 90 giorni ma entro i 120 giorni dalla consegna

Considerato il citato indirizzo della Corte di Giustizia europea l’operazione rimane detassata e non è necessaria alcuna regolarizzazione “senza per questo incorrere in alcuna violazione sanzionabile”, anche se l’esportazione risulta avvenuta oltre i 90 giorni ma, comunque, entro i 30 giorni normativamente previsti per la procedura di regolarizzazione.

Qualsiasi dubbio in tal caso è stato fugato già con la risoluzione AdE 98/E/2014.

 

Prova non ancora acquisita entro il 120° giorno

Più critica si fa la situazione quando, all’avvicinarsi del 120° giorno, ancora non si è in grado di riscontrare l’effettiva uscita della merce dal territorio doganale (e-visto della dogana di uscita); la situazione diventa tanto più difficile laddove (a differenza di quanto suggeriremo in calce) non si disponga – fin dalla consegna – di copia del DAU/DAE della dogana italiana di esportazione (dogana di apertura della pratica) e del relativo MRN per poter riscontare in autonomia il visto uscire attraverso il sito della nostra Agenzia delle Dogane e Monopoli.

In tal caso diventa quindi comportamento accorto quello dell’operatore che, entro i citati 120 giorni, pone in essere la regolarizzazione dell’operazione (addebito e versamento dell’Iva) evitando così qualsiasi rischio sanzionatorio senza veder tuttavia compromessa, una volta ottenuta l’agognata prova d’uscita, la possibilità di recuperare l’Iva regolarizzata vuoi (entro i termini sotto indicati) tramite nota di accredito vuoi (in alternativa) tramite istanza di rimborso (in tal senso già risoluzione AdE 98/E/2014, cit.).

 

La nota di credito per il recupero dell’Iva regolarizzata

Con la nuova risposta 32/E l’Agenzia ha precisato che, per l’effetto delle novità introdotte dal D.L. 50/2017 in tema di detrazione Iva, “non v’è dubbio che le indicazioni già fornite con la risoluzione n. 98/E del 2014 vadano attualizzate alla luce dei successivi interventi normativi e dei relativi chiarimenti intervenuti” ovvero, con la circolare 1/E/2018 e con la circolare 20/E/2021.

Per il caso in analisi l’Agenzia precisa quindi che il fornitore può procedere all’emissione di una nota di credito, in base all’articolo 26, secondo comma, del decreto Iva, “entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno in cui si intende realizzato il presupposto, che è da intendersi nel momento cui si considera avverato:

  1. sia il presupposto ”sostanziale” – avvenuta esportazione che, tuttavia, a tal fine, retroagisce temporalmente alla data della cessione del bene, sempreché sia stata acquisita la prova che l’esportazione è effettivamente avvenuta;
  2. sia quello ”formale” – emissione della nota di debito Iva per regolarizzare la fattura non imponibile, cui fa seguito il versamento dell’imposta da recuperare”.

Sulla base della soluzione riformulata il dies a quo per l’emissione della nota di variazione per recupero dell’Iva versata decorre quindi “dalla data di emissione della nota di debito” e non più – come indicato nella risoluzione del 2014 – “da quello in cui è avvenuta l’esportazione” (locuzione che, per inciso, non poteva che essere intesa dalla data di consegna per l’esportazione essendo il problema proprio quello di acquisire la data e la prova della – non nota – uscita effettiva) con il rischio (si veda colonna B nell’esempio a seguire) di non disporre di termini operativi concreti in caso di cessioni effettuate gli ultimi giorni dell’anno.

Esempio Vecchia risoluzione AdE 98/E/2014 Nuova risposta AdE 32/2023
Merce fatturata 8/b e consegnata per l’esportazione il 30.12.X1 30.12.X1 30.12.X1
Scadenza 90 giorni dalla consegna per l’uscita dei beni dal territorio comunitario 30.03.X2 30.03.X2
Scadenza 30 giorni successivi per regolarizzazione (nota debito) e  versare l’Iva evitando (sicuramente) anche le sanzioni in caso di mancata esportazione 29.04.X2 29.04.X2
Termine ultimo (dies a quem) per emissione nota credito recupero Iva (scadenza dichiarazione annuale relativa all’anno in cui sorge il diritto) se esportazione effettivamente avvenuta 30.04.X2
(dies a quo  30.12.X1)
30.04.X3
(die a quo 29.04.X2)

 

L’istanza di rimborso

Laddove, invece, l’emissione della nota di variazione in diminuzione non sia più consentita, perché la prova dell’avvenuta esportazione è stata acquisita oltre il termine entro cui la stessa poteva essere emessa (30.04.X3 nel nostro esempio), non configurandosi una ”colpevole” inerzia dell’istante, resta la possibilità di azionare la richiesta di rimborso, oggi ai sensi dell’articolo 30-ter D.P.R. 633/1972, secondo cui «il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione».

In tale evenienza, non potendosi qualificare indebito il versamento eseguito per effetto dell’emissione della nota a debito (nel nostro esempio quello del 29.04.X2), “il presupposto per la richiesta di rimborso sarà l’acquisizione della prova di avvenuta esportazione”.

 

Suggerimenti operativi

Nel sottolineare che la regola ordinaria rimane l’acquisizione della documentazione probatoria dell’esportazione nei 90 giorni dalla consegna dei beni e che la situazione retro descritta dovrebbe pur sempre rappresentare l’eccezione, è appena il caso di osservare che per i fornitori che vendono con rese in partenza (EXW, FCA …. e le altre rese prima del FOB) è opportuno adottare i seguenti accorgimenti per cercare di contenere (o fronteggiare) i rischi fiscali connessi alla mancata prova dell’esportazione:

a) concordare (pretendere) con il cliente estero che la merce sarà consegnata solo previa apertura della pratica doganale e consegna di copia del DAU/DAE in partenza (conoscendo fin dalla consegna in numero MNR italiano indicato in detti documenti sarà possibile effettuare in proprio gli opportuni controlli dell’avvenuta uscita – c.d. “e-visto” – dal sito delle Dogane di casa nostra);

b) incassare l’Iva dal cliente a titolo di cauzione in FCI rilasciando una semplice ricevuta e precisando che detta somma verrà restituita solo in caso di corretta esportazione anche dal punto di vista documentale doganale (la fattura per l’esportazione va emessa – solo per l’imponibile – sempre in articolo 8/b);

c) se si riscontra l’avvenuta uscita (e-visto, cit.) o comunque si acquisisce prova adeguata entro il retro citati 120 giorni si restituisce l’Iva al cliente; in caso contrario si regolarizza l’operazione – entro i 120 giorni – con la fatturazione (nota di debito) e il versamento dell’Iva stessa di cui già si dispone della provvista (se si è seguito il suggerimento b) procedendo all’eventuale successivo accredito e restituzione di detta somma al cliente solo nel caso di prova sopraggiunta in termini utili.

 

Precisazioni

Giova ricordare infine che:

  • l’articolo 8/b – secondo la prassi dell’Amministrazione finanziaria – non contempla l’ipotesi che i beni forniti possano formare oggetto di lavorazione prima di lasciare il nostro Paese; devono cioè lasciare il Paese “tal quali” (cfr. circolare 35/E/1997; circolare 26/E/1979);
  • la norma citata non riguarda altresì i beni destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni, navi, aeromobili o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato né dei beni da trasportarsi nei bagagli personali fuori del territorio unionale (in questi casi vale, infatti, la disciplina degli articoli 8-bis e 38-quater);
  • il citato articolo 8/b non contempla ipotesi di triangolazione (in sostanza se è il cliente del cliente estero a curare l’esportazione, il fornitore IT1 deve sempre fatturare con Iva);
  • molte criticità, fra le quali quella da ultimo citata, potrebbero essere superate anche semplicemente concordando (rinegoziando prima della partenza), laddove possibile, una resa FOB. Si ricorda, infatti, che per l’articolo 130 TULD nel via mare o aereo le merci «si considerano uscite dal territorio doganale salvo prova contraria, nel momento dell’imbarco sulle navi e sugli aeromobili» (in tal senso anche risoluzione n. 416596 del 04.11.1986 e la risposta ad istanza di interpello n. 580 del 10.12.2020); con la resa FOB – cioè con spese fino al caricamento nave/aereo a carico del fornitore – la merce si considera esportata a cura del fornitore (si tratta quindi di esportazione 8/a e non 8/b) ed è ad esso che il trasportatore/spedizioniere incaricato ricondurrà le spese fino al caricamento, pratica di esportazione compresa.