3 Luglio 2017

Errato reverse charge a operazioni non soggette e inesistenti

di EVOLUTION
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Il D.Lgs. 158/2015 ha rinnovato, con effetto dal 1/01/2016, l’intero sistema sanzionatorio, modificando, tra gli altri, anche l’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997, recante la disciplina della “violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della norma, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Sanzioni”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo tratta nello specifico quale sia la sanzione comminabile in caso di errata applicazione del reverse charge ad operazioni non soggette e inesistenti.

Il quarto e ultimo comma dedicato alle violazioni in materia di reverse charge (comma 9.bis.3 dell’articolo 6 D.Lgs. 471/1997) introduce un’ipotesi di grandissimo impatto che tratta espressamente la disciplina sanzionatoria delle operazioni inesistenti assoggettate ad inversione contabile.

La prima parte del comma 9.bis.3, come rilevato dalla circolare AdE 16/E/2017 (paragrafo 5), introduce una particolare disciplina, più a carattere procedurale che sanzionatorio, per i casi in cui vengano assoggettate a inversione contabile, con applicazione dell’imposta, delle operazioni che in realtà sono esenti, non imponibili o, comunque, non soggette.

In tal caso viene previsto che l’Ufficio accertatore espunga sia la posta a debito che quella a credito computate all’interno delle liquidazioni, ripristinando così la situazione corretta.

La norma non prevede nessuna sanzione specifica per tale irregolarità, ma precisa che rimane in ogni caso fermo il diritto del cessionario/committente di recuperare l’Iva eventualmente non detratta (tipicamente per effetto del pro rata, in astratto anche a causa di indetraibilità oggettiva) tramite variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del D.P.R. 633/1972, ossia mediante emissione di una nota di accredito (nei confronti di se stesso, avente quindi solo un’utilità contabile) entro un anno dalla data di effettuazione dell’operazione, oppure tramite istanza di rimborso cd. “anomala” di cui all’articolo 21, comma 2, del D.Lgs. 546/1992, per la quale è previsto il più ampio termine di due anni dall’annotazione della fattura.

Si tratta peraltro di situazioni difficilmente riscontrabili in concreto. Per completezza si osserva come nessuno dei commi dell’articolo 6 D.Lgs. 471/1997, disciplinanti le violazioni in materia di reverse charge, considerino espressamente l’ipotesi opposta a quella in commento, vale a dire quella in cui il contribuente effettui l’inversione contabile indicando, in luogo dell’imposta da liquidare, un titolo di non imponibilità o di non applicazione del tributo errato. Pur con un margine di incertezza, in quanto si potrebbe invocare il principio nulla poena sine lege, si ritiene che tale evenienza rientri nella casistica generale di cui al comma 9-bis e comporti quindi l’applicabilità della sanzione fissa da 500 a 20.000 euro.

Ben più interessante è, invece, il secondo periodo del comma 9.bis.3, che testualmente recita: “La disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro”.

In ordine alla natura delle operazioni, si esprime l’avviso che la norma trovi applicazione, oltre che nell’ipotesi principale di inesistenza oggettiva, anche nell’ipotesi di inesistenza soggettiva, per la quale rimane comunque impregiudicata la facoltà del cessionario/committente che ha ricevuto la fattura da un soggetto diverso da quello che ha posto in essere l’operazione, di regolarizzare la violazione ai sensi del comma 9-bis, quarto periodo (nella misura ricompresa tra il 5% e il 10%, cfr. circolare AdE 16/E/2017paragrafo 5-b). Questa importantissima novità legislativa, che, come puntualizzato dall’Amministrazione finanziaria (cir. cit.), “si applica, nel rispetto del principio del favor rei, anche alle violazioni commesse prima del 1° gennaio 2016, i cui atti di recupero non si sono ancora resi definitivi”, sta venendo invece ignorata da parte della Corte di Cassazione.

Fortunatamente sul punto la più volte citata circolare AdE 16/E/2017ha precisato che, con il comma 9.bis.3, sono state introdotte “regole specifiche, applicabili quando la violazione riguarda l’applicazione del regime di inversione contabile, per operazioni di cui al primo periodo del comma 9-bis, ma che sono inesistenti; tali regole attengono sia alla sanzione applicabile che ai criteri di recupero dell’imposta in sede di accertamento”.

Da tale interpretazione discende quindi che tutte le operazioni inesistenti per le quali sia stato applicato il regime di inversione contabile non potranno dar luogo a nessun recupero d’imposta, dovendosi invece espungere dalla contabilità le relative poste a debito e a credito, ma risulteranno sanzionabili nella misura proporzionale variabile tra il 5% e il 10% dell’imponibile oggetto di inversione contabile, con un minimo di 1.000 euro per ciascuna violazione.

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

Iva nazionale ed estera