7 Aprile 2023

Il dolo specifico nel reato di dichiarazione infedele

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Negli anni, la giurisprudenza di legittimità è stata chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione del concetto di “imposta evasa”, con specifico riferimento ai reati tributari disciplinati dal D.Lgs. 74/2000. Per “imposta evasa” deve intendersi l’intera imposta dovuta, da determinarsi sulla base della “contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario” (Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 21213/2008).

A mente del citato provvedimento, “ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, articolo 5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario”.

Per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, però, “in tema di reati tributari il giudice può legittimante basarsi, per accertare la penale responsabilità dell’imputato per le omesse annotazioni obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell’Iva, sull’informativa della Guardia di Finanza che abbia fatto ricorso ad una verifica delle percentuali di ricarico attraverso una indagine sui dati di mercato e ricorrere anche all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge sia stata tenuta irregolarmente”.

Sotto questo profilo, anche l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può rappresentare un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde.

In tema di reati tributari, ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui all’articolo 5 D.Lgs. 74/2000, il Giudice può dunque legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari (Cass. Pen., sentenza n. 24811/2011).

L’elemento soggettivo del reato tributario della dichiarazione infedele è caratterizzato dal dolo specifico ed è reso evidente dalla complessiva condotta dell’imputato che, tenuto alla produzione e al deposito delle dichiarazioni e dei bilanci, non abbia prodotto tutta la documentazione necessaria a provare la plusvalenza invece ripotata nella dichiarazione dei redditi.

A tale riguardo, la recente sentenza n. 2173/2023 emessa dalla Corte di Appello di Ancona ha dato continuità a tale impostazione, ravvisando penale responsabilità in capo all’amministratore e legale rappresentante di una società che, a seguito della cessione di alcuni immobili, aveva omesso di indicare, nella dichiarazione dei redditi, i ricavi derivanti dalla vendita di tali immobili per un importo complessivo di oltre due milioni di euro, così come non aveva indicato, nel volume di affari, un imponibile di pari importo e l’Iva relativa.

Sulla base della documentazione relativa agli acquisti e vendita degli immobili sopra citati e della documentazione contabile veniva rideterminato il reddito in considerazione della plusvalenza realizzata con la vendita dei predetti immobili sulla base del costo di acquisto.

Nella specie, l’accertamento veniva effettuato sulla base di documenti-atti pubblici e valori indicati su tali atti, nonché sulla documentazione contabile della società, che peraltro aveva omesso di comunicare all’Agenzia Entrate lo spesometro e di depositare presso la Camera di Commercio il Bilancio relativo all’anno di imposta in contestazione.

La sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità del reato in oggetto è stata ritenuta quindi evidente dalla Corte di Appello, sulla base della complessiva condotta dell’imputato che, tenuto alla redazione e al deposito delle dichiarazioni e dei bilanci, aveva omesso di fornire all’Amministrazione Finanziaria tutti i dati da cui si potesse desumere la plusvalenza, poi non indicata nella dichiarazione dei redditi.

Alla luce del quadro probatorio, il Giudice di secondo grado ha confermato la declaratoria di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ascritto.