14 Maggio 2020

Disapplicazione dei limiti al riporto delle perdite nella fusione

di Fabio Landuzzi
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La scheda di FISCOPRATICO

Il mancato superamento del “test di vitalità” delle società partecipanti ad una fusione societaria può essere disapplicato mediante apposita istanza di interpello, consentendo quindi il riporto delle posizioni fiscali soggettive pregresse (perdite fiscali riportate, eccedenze di interessi passivi, eccedenze Ace) delle società partecipanti, quando sia dimostrato che con la fusione non si realizza una finalità elusiva, ovvero non si perviene ad una indebita compensazione intersoggettiva delle predette posizioni fiscali, che l’ordinamento intende contrastare con la disciplina “quantitativa” di cui all’articolo 172, comma 7, Tuir.

Nel solco di altre precedenti risposte rese ad istanze di interpello, la risposta n. 101 dell’Agenzia delle Entrate si mostra di particolare interesse per via della condizione in cui si trovavano le due società partecipanti ad una fusione inversa nel contesto di una operazione di leveraged buy out; in particolare:

  • l’incorporante, per la quale non erano verificati né il requisito patrimoniale né quello di “vitalità economica” riferito al c.d. periodo interinale in corso alla data di efficacia della fusione, con particolare riferimento ad un decremento subito nel costo del personale dipendente,
  • l’incorporata, per la quale nessuno degli anzidetti requisiti risultava verificato in quanto trattavasi di società costituita al solo scopo di fungere come veicolo per l’acquisizione della società target, poi incorporante per via della esecuzione della fusione in forma “inversa”.

Con riferimento alla posizione della incorporante, sono in modo particolare due gli aspetti di rilievo che si possono cogliere dalla risposta all’interpello.

Il primo si riferisce alla questione del decremento sofferto dalla società riguardo al costo del personale dipendente.

È stato dimostrato che, nel caso di specie, ciò è stato dovuto alla decisione dell’impresa di esternalizzare tutta l’attività di gestione tecnica e commerciale degli immobili (si trattava di centri commerciali) ad un soggetto terzo, al quale era stato ceduto il relativo ramo di azienda inclusivo di tutti i dipendenti, e contestualmente stipulato un apposito contratto di servizi tecnici, commerciali e amministrativi.

È stato perciò valorizzato, secondo un condivisibile approccio sostanzialistico, il fatto che questa decisione organizzativa – che vedeva coinvolto un soggetto del tutto terzo in qualità di nuovo prestatore in outsourcing dei servizi suddetti – non deve ledere la reale “vitalità” dell’impresa; tanto è vero che, come si evince dalla risposta, se ai fini del “test di vitalità” fossero stati assunti proprio tali costi esterni (ossia, a parità di condizioni rispetto alla organizzazione dell’impresa preesistente alla esternalizzazione), il test sarebbe stato appunto verificato positivamente.

Ulteriori indici di vitalità dell’impresa hanno riguardato la serie storica dei suoi ricavi, che aveva fatto registrare un incremento progressivo, e la composizione quali-quantitativa del suo patrimonio.

Il secondo aspetto di sicuro interesse ha poi riguardato il test relativo al limite patrimoniale, il cui mancato superamento era dovuto al fatto che nel bilancio di riferimento – che veniva assunto ai fini della verifica in oggetto, avendo le società derogato alla predisposizione delle rispettive situazioni patrimoniali di fusione – era dovuto all’accantonamento eccezionale di un fondo per futuri interventi di risanamento; un fondo iscritto al passivo che, peraltro, non era stato dedotto fiscalmente così che aveva influenzato negativamente il solo risultato di bilancio erodendo di conseguenza il patrimonio della società sino a portarlo al di sotto dell’ammontare della posizioni fiscali soggettive.

Anche a questo riguardo, il parere positivo alla disapplicazione del limite patrimoniale nel caso di specie risulta frutto del fatto che, in assenza di tale accantonamento eccezionale, il patrimonio netto della società sarebbe stato capiente rispetto al riporto di tutte le posizioni fiscali soggettive, e che da una verifica oggettiva si è potuto constatare che l’attività svolta non aveva subito alcun reale depotenziamento, come dimostrato dalle evidenze quantitative e qualitative sopra citate.