20 Ottobre 2022

Deduzione degli interessi di mora da accertamento di tributi

di Fabio Landuzzi
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La questione della deduzione ai fini Ires degli interessi di mora dovuti in relazione al pagamento di tributi oggetto di accertamento rimane tuttora controversa.

Giova ricordare in via del tutto preliminare che, al riguardo, la sola norma che prescrive in modo esplicito l’indeducibilità degli oneri assimilabili agli interessi dovuti per il tardivo versamento delle imposte la si ritrova nell’ordinamento nell’articolo 66, comma 11, D.L. 331/1993 con riferimento specifico alla maggiorazione dell’1% dovuta dai soggetti Iva trimestrali per il versamento della relativa imposta scaturente dalla liquidazione Iva del trimestre solare.

Al di fuori di questo molto particolare ambito, il campo della deduzione degli interessi di mora dovuti in relazione al tardivo pagamento di tributi non trova una regolamentazione esplicita, sicché la fattispecie viene lasciata al mondo delle interpretazioni della prassi, della dottrina ed a quello delle decisioni della giurisprudenza.

Sebbene molto risalente nel tempo, in questo contesto è utile ricordare una prima presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria – nella circolare n. 7/1496 del 1977 – in cui si riconobbe che gli interessi maggiorativi dei tributi dovuti a seguito di scrizioni a ruolo, di rateazione, e simili, sarebbero deducibili nella stessa misura in cui lo sono i relativi tributi.

Questo principio, che tenderebbe a privilegiare sul piano della disciplina fiscale l’accessorietà degli interessi in questione rispetto al tributo a cui afferiscono, ha poi però trovato nel tempo smentita nella giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 2440/1984) la quale riconobbe che da una parte è vero che in generale la disciplina giuridica del debito accessorio si appiattisce su quella del debito principale, ma è altrettanto vero che questo principio trova applicazione nell’ambito privatistico mentre non ha eguale applicazione dogmatica nel campo pubblicistico, ed a maggiore ragione in quello tributario che è per definizione un diritto speciale volto a regolamenta rapporti del tutto differenti.

D’altronde, se risaliamo alla genesi della disciplina del Tuir, e quindi alla Relazione governativa all’allora articolo 63 (oggi articolo 96 Tuir), possiamo cogliere il passaggio in cui si precisava che “nel comma 1 si è ritenuto superfluo indicare specificamente che rientrano nell’accezione di interessi passivi anche le somme corrisposte a norma del decreto 602 (n.d.r. il Dpr 602/1973), in quanto appare indubbia la loro natura di interessi passivi, ancorché accessori dell’imposta”.

In altre parole, pare di poter proprio dedurre che già allora il Legislatore aveva inteso sottolineare che ai fini della deducibilità degli interessi passivi non assume alcuna rilevanza il fatto che essi siano o meno accessori ai tributi a cui afferiscono poiché nel mondo del reddito d’impresa gli interessi passivi sono in ogni caso “inerenti” rispetto all’attività da cui originano i ricavi che concorrono alla formazione del reddito imponibile.

E questo principio di inerenza ab origine degli interessi passivi ha poi trovato nel tempo una crescente e oggi consolidata conferma giurisprudenziale (per tutte, Cassazione n. 5332/2020).

Un’indiretta conferma che questa direzione fosse quella più consona ai principi dell’ordinamento la si ebbe, in dottrina, già in occasione della circolare 13/2001 di Assonime in merito alla legittima deduzione degli interessi dovuti per il pagamento rateale dell’imposta sostitutiva sulle rivalutazioni dei beni d’impresa, deduzione peraltro confermata anche tutte le successive edizioni della legge di rivalutazione.

Sul fronte dell’Amministrazione Finanziaria, un ulteriore passo si ebbe poi in occasione della pubblicazione della risoluzione 178/E/2001 in cui si affermava che “considerato che il sistema normativo del Tuir riconosce l’autonomia della funzione degli interessi passivi, la loro deducibilità deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dall’articolo 63 (ora, articolo 96 del Tuir) al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili”.

A breve distanza anche la Cassazione (sentenza n. 18173/2002) confermò, con riferimento ai vari tipi di interessi sui debiti tributari, che la disciplina generale non pone limiti alla deducibilità in relazione all’onere rispetto a cui sono accessori, affermando al riguardo che un diverso approccio sarebbe “del tutto incoerente ed ingiustificato” dato che gli interessi attivi sui crediti di imposta sono componenti positivi di reddito imponibili nel mondo del reddito d’impresa.

La travagliata storia degli interessi di mora sul versamento tardivo di tributi trova poi un nuovo arresto dell’Amministrazione nella risoluzione 228/E/2007, nella quale si torna a riproporre il principio dell’accessorietà rispetto al tributo, e quindi la tesi secondo cui gli interessi di mora seguirebbero per la loro deducibilità le vicende che qualificano il tributo a cui afferiscono.

Tesi peraltro ripresa in modo addirittura peggiorativo in una risposta resa nel 2014 a Telefisco in cui si affermò l’indeducibilità degli interessi per tardivo versamento dell’Imu, quasi saltando in toto anche il concetto dell’accessorietà rispetto al tributo.

Infine, la recente Ordinanza della Cassazione n. 28740/2022 in cui, pur non attribuendo agli interessi moratori da ritardato pagamento una funzione sanzionatoria, bensì quella più congrua di ristorare l’Erario del pagamento tardivo, si è ritenuto che gli stessi non trovino fonte nell’attività dell’impresa e precisamente nella dimensione finanziaria della stessa, bensì nell’inosservanza di un obbligo nel pagamento del tributo, con la conseguenza che ne andrebbe esclusa la deduzione ai fini fiscali.

In altre parole, la Cassazione torna ad argomentare sul piano del principio di inerenza, peraltro discostandosi dalla tesi ormai dominante che relega il riferimento all’articolo 109, comma 5, Tuir, alla sola correlazione con ricavi esenti da tassazione, e che eleva invece il principio di inerenza a un concetto immanente nella nozione e dimensione stessa di reddito d’impresa.

In conclusione, la situazione appare tuttora abbastanza confusa, e concludere per la non deducibilità degli interessi moratori dovuti per il pagamento tardivo di tributi, a prescindere dal tributo a cui essi afferiscono, pare davvero aggiungere una penalizzazione iniqua per l’impresa e poco congrua rispetto ai principi dell’ordinamento.