16 Settembre 2014

Bancarotta preferenziale e prevedibilità del fallimento

di Luigi Ferrajoli
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E’ punito a titolo di
bancarotta preferenziale l’imprenditore che, per cercare di salvare la propria azienda dal fallimento, paga alcuni creditori a
svantaggio di altri, qualora tale esito risulti prevedibile. 
Lo ha statuito la V sezione penale della
Corte di Cassazione
con la
sentenza 32725/2014; la vicenda posta all’esame dei giudici concerneva un imprenditore
condannato, in primo ed in secondo grado, per il reato di bancarotta preferenziale previsto e punito
dall’art. 223 in relazione
all’art. 216, co. 3, R.D. 267/42.
Ciò in quanto, quale liquidatore di una società svolgente attività di commercio di prodotti alimentari poi fallita, aveva eseguito
rilevanti pagamenti in favore di alcuni creditori senza rispettare l’ordine di soddisfacimento, oltre ad avere incassato il proprio compenso.
La difesa dell’imputato, all’esito del giudizio di primo grado, aveva proposto
appello avverso la sentenza di condanna, eccependo che i pagamenti contestati erano stati eseguiti con l’intenzione di
risanare la società; tale circostanza sarebbe stata confermata dal fatto che il liquidatore aveva anche sottoscritto personalmente alcune fideiussioni a
garanzia di debiti societari.
I giudici di secondo grado rigettavano l’impugnazione e pertanto la difesa presentava ricorso per Cassazione per
violazione di legge, deducendo l’insussistenza di prove idonee a dimostrare che l’imputato avesse effettuato pagamenti per la
soddisfazione di un credito personale o con l’intento di preferire un creditore rispetto ad un altro.
In particolare la difesa deduceva la
mancanza di prova della volontà dell’imputato di arrecare pregiudizio ad alcuni creditori, evidenziando che i pagamenti effettuati e la disponibilità a rilasciare
fideiussioni personali presso le banche avrebbero dimostrato che il medesimo era convinto di poter ripianare la situazione debitoria, con ciò escludendo la sussistenza del
dolo.
La Cassazione, pur rilevando l’intervenuta
prescrizione del reato di bancarotta preferenziale, ha tuttavia deciso il ricorso ai fini delle statuizioni civili, rigettando la tesi difensiva.
La Suprema Corte ha infatti ritenuto che, nell’ipotesi del liquidatore della
società fallita che si ripaghi di quanto dovutogli a titolo di compenso per l’attività svolta, questi risponda a titolo di
bancarotta preferenziale, non ricorrendo norme che consentono di distinguere il reato in ragione della natura del creditore.
Quanto alla contestata
sussistenza del dolo, la Cassazione, richiamando una precedente pronuncia (cfr. Cass. 31894/2009) ha evidenziato sul punto che “…
la bancarotta preferenziale è un reato a dolo specifico, richiedendo che l’imputato agisca al fine di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi. Il pregiudizio degli altri creditori, però, non è collegato alla finalità dell’agire, per cui non costituisce oggetto del dolo specifico tale risultato, essendo sufficiente che il fallito si rappresenti la possibilità di ledere i creditori non favoriti, secondo i principi del dolo eventuale. In tal senso l’elemento soggettivo è ravvisabile ogni qual volta l’atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a favorire un creditore secondo lo schema tipico del dolo eventuale”.
Secondo i giudici di legittimità il dolo specifico verrebbe meno solo nell’ipotesi in cui l’azione dell’imprenditore o del liquidatore risulti finalizzata, in via
esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale, mentre nelle ipotesi in cui tale finalizzazione si sommi a quella di avvantaggiare taluni creditori, in concreto soddisfatti, la
condotta deve ritenersi
compatibile con la fattispecie della bancarotta preferenziale; diversamente opinando “
la fattispecie della bancarotta preferenziale risulterebbe difficilmente configurabile, in concreto, in tutte le ipotesi in cui l’apparente scopo di evitare il fallimento nasconda invece l’ulteriore finalità concorrente, anche se non prevalente, di favorire taluni creditori beneficiati in danno di altri”.
Quindi, nel caso in cui l’imprenditore o il liquidatore agisca – come nel caso di specie – nonostante sia
consapevole del fatto di non essere in grado di evitare il dissesto, dovrà ritenersi sussistente il reato di bancarotta preferenziale, che viene meno, secondo i
giudici, solo nel caso in cui il risultato di evitare il fallimento e di realizzare il riequilibrio finanziario e patrimoniale possa ritenersi
più che
ragionevolmente perseguibile, sulla base di un criterio di
verosimiglianza e ragionevolezza.