30 Agosto 2017

Ammissibile in appello la produzione di nuovi documenti

di Angelo Ginex
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È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 58 D.Lgs. 546/1992, norma che consente la produzione, nel giudizio di appello, di documenti non prodotti o prodotti tardivamente in primo grado. È questo il principio statuito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 199 del 14 luglio 2017.

La vicenda trae origine dalla impugnazione, da parte di un contribuente, di un preavviso di fermo amministrativo dell’auto di proprietà, notificatogli dall’Agente della riscossione per conto dell’Agenzia delle Entrate di Napoli e del Comune di Napoli, relativo a dieci cartelle di pagamento per Tarsu, Iva, Irpef e Irap, deducendo, tra gli altri motivi, l’omessa notifica delle cartelle richiamate nel predetto avviso.

La Commissione tributaria provinciale di Napoli, previamente ritenuto impugnabile il preavviso di fermo, lo annullava, rilevando la mancata prova documentale della notifica delle prodromiche cartelle di pagamento, pur rigettando la domanda di annullamento delle medesime.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Agente della riscossione, che produceva, solo in tale sede, la documentazione relativa alla notifica delle citate cartelle. Si costituiva il contribuente, eccependo la tardività dell’avversa produzione documentale e formulando gravame incidentale in ordine al mancato annullamento di tutte le cartelle.

La Commissione tributaria regionale della Campania, con ordinanza del 6 maggio 2016, n. 943, disponeva la sospensione del processo pendente dinanzi alla stessa, rimettendo la citata ordinanza e i relativi atti processuali alla Corte Costituzionale ex articoli 23 ss. L. 87/1953, affinché quest’ultima si esprimesse sulla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, D.Lgs. 546/1992, sia in sé che in relazione al primo comma della medesima norma, laddove consente la produzione in appello della prova documentale, pur se tale prova era nella disponibilità della parte producente già in primo grado, per divisato contrasto con i principi di uguaglianza, del diritto di difesa e del diritto ad un processo equo, di cui agli articoli 3, 24 e 117, comma 1, Cost., nonché con criteri di razionalità e con i principi generali dell’ordinamento.

Nella pronuncia in commento, i giudici costituzionali hanno affermato tout court che l’articolo 58 D.Lgs. 546/1992, consentendo la produzione in appello dei documenti che la parte non ha prodotto o ha prodotto tardivamente in primo grado, non è lesivo di alcun principio costituzionale.

Ciò, sulla base della considerazione per la quale, ancorché nel nostro sistema processuale esista una lata discrezionalità del legislatore nel disciplinare gli istituti, che incontra il limite della manifesta irragionevolezza, l’ammissibilità in appello di un’attività processuale rimasta preclusa in primo grado non è di per sé irragionevole.

Infatti, sostengono i giudici costituzionali, “il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria (come la produzione di un documento) mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilità in secondo grado costituisce temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile”.

In sintesi, questo è stato il ragionamento della Corte Costituzionale, secondo cui – ribadiamolo – in appello è ammessa, sempre e comunque, la produzione di nuovi documenti, con la conseguenza che, se in primo grado la parte non ha prodotto i documenti o li ha prodotti tardivamente, non ci sono limiti alla produzione di quegli stessi documenti in appello.

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