7 Maggio 2021

Fatture false: illegittimo il sequestro preventivo se non c’è consapevolezza dell’utilizzatore

di Angelo Ginex
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In tema di reati tributari, è illegittimo il sequestro preventivo del profitto del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, laddove il soggetto che utilizza la fattura falsa in una dichiarazione dimostri di non essere a conoscenza della natura di cartiera della società emittente, producendo in giudizio mail e bonifici effettuati a quest’ultima e sintomatici di una mancanza di collegamento illecito tra l’emittente e l’utilizzatore.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 17400, depositata ieri 6 maggio.

La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse da un decreto emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza con cui veniva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente del profitto del reato di cui all’articolo 2 D.Lgs 74/2000 a carico del legale rappresentante di una s.r.l. per l’indebita detrazione di fatture afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, con imposta evasa quantificata in euro 24.760,75.

Il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare del sequestro preventivo. Così, al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza da esso emessa, la s.r.l. proponeva ricorso in Cassazione ex articolo 311 cod. proc. pen., con cui si censurava l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge e motivazione apparente quanto alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti e dei gravi indizi di colpevolezza.

In particolare, secondo la tesi difensiva, il Tribunale del riesame non avrebbe risposto ai motivi di riesame né valutato la documentazione prodotta (mail e bonifici effettuati alla società cartiera), che dimostrava invece l’assenza della consapevolezza da parte della ricorrente che la società con cui aveva operato fosse, in realtà, una cartiera.

Inoltre, lamentava il fatto che il tribunale del riesame si fosse limitato ad affermare che non vi era un’evidenza ictu oculi dell’assenza dell’elemento soggettivo del reato, senza valutare sulle produzioni ed argomentazioni difensive, fra cui quelle dell’assenza del vantaggio fiscale.

Ebbene, la Corte di Cassazione ha osservato innanzitutto che in tema di riesame reale, compito del Tribunale è anche quello di espletare il proprio ruolo di garanzia, non limitando la propria cognizione alla astratta configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale, esaminando, conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero, ma anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato (cfr., Cass. Sent. 28.02.2013, n. 13038).

D’altronde, anche le Sezioni Unite, con sentenza n. 18954 del 31.03.2016, hanno ribadito che «il Tribunale del riesame deve procedere alla verifica della esposizione e della autonoma valutazione degli elementi, e dichiarare la nullità del provvedimento in caso di mancanza; è onere del giudice del riesame in materia di sequestri il controllo sulla valutazione degli elementi forniti dalla difesa e delle esigenze cautelari entro i limiti nei quali tale requisito della motivazione sia richiesto alla autorità giudiziaria che adotta il provvedimento ablativo».

Fatta questa doverosa premessa, la Suprema Corte ha affermato che nella specie, la società ricorrente ha offerto al Tribunale del riesame tutti gli elementi che potessero avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato.

In particolare, è stato sottolineato che la società ricorrente, nell’esercizio del proprio diritto di difesa, ha prodotto documentazione rilevante, quale mail e bonifici effettuati alla società cartiera, al fine di dimostrare che non fosse a conoscenza della natura di cartiera della società emittente.

Sotto tale profilo, la Corte di Cassazione ha rammentato che «il dolo del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 D.lgs. 74/2000, consiste nella consapevolezza, di colui che utilizza il documento in una dichiarazione, che chi ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo, in tal modo, un indebito vantaggio fiscale in quanto l’IVA versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima» (cfr., Cass. Sent. 29.10.2019, n. 50362).

Tuttavia, sul punto, così come rilevato dai giudici di vertice, non è stato dimostrato il collegamento illecito tra l’emittente e l’utilizzatrice dal Tribunale del riesame che, peraltro, ha ignorato le allegazioni difensive e si è limitato ad affermare che tale valutazione atterrebbe al merito della contestazione.

In virtù delle suesposte argomentazioni, l’ordinanza impugnata è stata annullata con rinvio al Tribunale di Vicenza per un nuovo giudizio nel quale attenersi ai principi di diritto enunciati.