14 Settembre 2013

La Cassazione sulla prova della cessione intracomunitaria

di Giovanni Valcarenghi
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La non imponibilità di una cessione intracomunitaria è subordinata alla effettiva uscita dei beni dal territorio Italiano; inoltre, grava sul cedente l’onere probatorio della dimostrazione dell’avvenuta consegna dei beni dal territorio italiano o, quantomeno, di avere adottato tutte le cautele necessarie per escludere possibili sospetti in merito a tale circostanza. Questo il principio affermato dalla Cassazione con la sentenza 20980, depositata il 13 settembre 2013.

La pronuncia riguarda un accertamento notificato ad una società che aveva provveduto a cedere dei beni ad un acquirente tedesco; la consegna, a quanto è dato di comprendere, è avvenuta a mezzo di un trasportatore incaricato dal cessionario tedesco che, secondo gli accertamenti operati dalla Guardia di finanza, in realtà ha provveduto a consegnare i beni ad altro soggetto in territorio italiano. Peraltro, è stato anche accertato che la società tedesca appariva solo formalmente esistente, operando di fatto mediante altro soggetto sul territorio italiano. E’ importante rimarcare la circostanza, al fine di comprendere che il “clima generale” che ammanta la situazione non è certo favorevole al contribuente accertato.

L’unico mezzo di prova addotto dalla società ricorrente, peraltro già soccombente in Commissione regionale, è stata la produzione documentale della lettera di trasporto internazionale, sottoscritta dal vettore (la esistenza della sottoscrizione, peraltro, risulta contestata dall’Agenzia) con assunzione dello stesso dell’impegno a consegnare a Monaco di Baviera. A livello di argomentazione, invece, si è sviluppato il ragionamento che, nel caso di trasporto a cura dell’acquirente a mezzo vettore di sua fiducia, il cedente sarebbe liberato da qualsiasi ulteriore analisi.

Di tutt’altro parere, invece, risulta la Cassazione, la quale ribadisce che la condizione essenziale per accordare la non imponibilità della cessione intracomunitaria sia l’effettiva fuoriuscita dei beni dal territorio dello Stato del cedente. In carenza di questa condizione, l’operazione deve considerarsi interna e, per conseguenza, deve essere assoggettata ad IVA. Poiché, non caso specifico, è stato accertato che la merce sia rimasta in Italia, appare chiaro quale possa essere stato l’esito del giudizio.

Ma vi è di più. I Giudici, con una elaborata ricostruzione della giurisprudenza interna e comunitaria e delle interpretazioni assunte – anche di recente – dalla Agenzia delle entrate, hanno configurato il corretto comportamento che dovrebbe caratterizzare il cedente. Infatti, da un lato va escluso che lo stesso sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni dopo la consegna al vettore incaricato, poiché ciò contrasterebbe con i principi di proporzionalità. Ma, per altro verso, si ritiene sussistente il dovere del cedente di impiegare la normale diligenza di un operatore commerciale in merito alla affidabilità della controparte, procurandosi i mezzi di prova adeguati alle necessità che siano in grado di non lasciare dubbi in merito all’effettività dell’esportazione ed all’esistenza della buona fede.

Si precisa, ancora, che non spetta alla Corte verificare la adeguatezza dei comportamenti in merito al richiamato stato di buona fede del cedente, poiché ciò è demandato ai giudici di merito; diversamente, la valutazione investe il controllo di logicità ed adeguatezza sulla motivazione dell’accertamento di fatto. Pur tuttavia, si conferma che il tipo di prova adeguato non è quello diretto ad escludere la malafede, bensì quello teso a far comprendere che il cedente sia stato tratto in inganno nonostante avesse adottato le opportune cautele per evitare l’aggiramento.

Con tali premesse appare scontata, come si diceva la conclusione; peraltro, la Corte condivide la motivazione della sentenza della Commissione Regionale anche sulla scorta del fatto che il CMR prodotto risulti inidoneo a provare il trasferimento della merce all’estero. Quindi, siamo dinnanzi ad un vero e proprio autogol, con vittoria assegnata alle Entrate in modo lampante.

Data la particolarità della situazione appare difficile trarre un messaggio generale, se non la estrema cautela che i cedenti italiani debbono assumere per essere in grado di dimostrare l’effettiva uscita; quando il trasporto avviene a cura dell’acquirente ciò non è semplice, ma appare indispensabile sforzarsi di “corredare” la pratica con documenti in equivoci. Talvolta, uffici e giudici hanno valutato di buon grado anche un semplice fax spedito dal cessionario, ove si conferma l’arrivo della merce a destino.