28 Novembre 2014

Omessi versamenti e debitori in crisi, aperture timide eppure utili

di Claudio Ceradini
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Alcune recenti pronunce della
Corte di Cassazione, insieme ad annunciate
modifiche normative, consigliano di fare il punto sul problema degli
omessi versamenti di imposte e ritenute, fiscali e previdenziali, fattispecie piuttosto
frequente in relazione alle difficili condizioni finanziarie in cui molte società versano.

Si è avuto modo di commentare in altre occasioni come sia sostanzialmente incerto il quadro normativo di riferimento, che meno recenti orientamenti di legittimità (cfr. Cassazione Penale n. 44283 del 31.10.2013) non hanno minimamente contribuito a chiarire. La questione è la seguente: l’imprenditore in crisi, che non provveda al versamento di imposte e ritenute, commette il delitto previsto dagli artt. dall’art. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000 o dall’art. 2 del D.L. 463/1983, anche se il comportamento consegue alla oggettiva carenza di finanza e alla esigenza di preservare la par condicio creditorum? E’ questione non nuova certo, che si trascina perlomeno dal 2009, tra continui contrasti giurisprudenziali tra merito e legittimità (cfr. CTP di Perugia n. 36/2009, CTP di Lecce n. 352.01.10, GIP di Firenze n. 1141 del 10.08.2012, GIP di Milano n. 2818 del 5.11.2012 e n. 3926 del 7.01.2013, Corte di Cassazione n. 37424 del 28.03.2013, Corte di Cassazione n. 44283 del 31.10.2013), in un contesto in cui onestamente il comportamento del debitore apparrebbe carente di dolo, nel momento in cui non solo dichiarasse il proprio debito in dichiarazione, ma nel contempo proponesse, anche nel proprio piano di risanamento, il pagamento integrale, imposte ed interessi inclusi.

Procediamo con ordine.

Con Sentenza n. 38080 del 19.09.2014 la Cassazione ha fornito una interpretazione piuttosto restrittiva della portata deflattiva della L. 67/2014, con cui il parlamento ha delegato il Governo alla adozione dei Decreti delegati, che disciplinino la depenalizzazione, e la contestuale derubricazione ad illecito amministrativo, di alcuni delitti, tra cui quello previsto dall’art. 2 del D.L. 463/1983, che punisce l’omesso versamento delle ritenute previdenziali con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a € 1.032,91. Molti tribunali di merito, in attesa dei decreti, avevano interpretato la volontà del legislatore in senso favorevole al debitore, considerando di fatto il comportamento omissivo già depenalizzato. La Corte di Cassazione costringe invece ad un brusco dietro-front, sulla base di una rigorosa interpretazione letterale, secondo cui l’art. 2 della L. 67/2014 disciplina unicamente il contenuto e le finalità di modifica del regime sanzionatorio di alcune fattispecie, tra le quali quella relativa al mancato versamento delle ritenute previdenziali di cui al secondo comma, lettera c) dello stesso articolo. Solo l’emanazione dei Decreti delegati, attesi per la fine del 2015, potrà intervenire sulla rilevanza penale del comportamento omissivo, auspicabilmente attenuandola. Rigore prussiano, quindi, e conseguente necessità per il debitore di evitare il passaggio in giudicato della eventuale sentenza di condanna subita proponendo appello, in attesa dei decreti. Soldi, tempo e preoccupazioni inutili.

Novità più rasserenanti sul versante invece delle ritenute fiscali, il cui mancato versamento entro i termini di invio della dichiarazione del sostituto di imposta, per importi superiori ad € 50.000 è punito ai sensi dell’art. 10bis della L.74/2000, con la reclusione da sei mesi a due anni. La Cassazione, con Sentenza n. 40256 del 01.10.2014, modifica un orientamento che sino ad oggi poteva, purtroppo, considerarsi consolidato. Sino a ieri l’attivazione della responsabilità penale del debitore derivava in via pressoché automatica dalla semplice attività di controllo automatizzato delle dichiarazioni, nella misura in cui ne emergesse il comportamento omissivo. In sostanza, quindi, il rilievo nel modello 770 delle ritenute operate e del mancato versamento comportavano automaticamente la trasmissione degli atti in Procura, con buona pace del perimetro del delitto, che richiede l’omissione del versamento delle ritenute certificate, e non solo dichiarate. Numerose pronunce anche recenti (Cass. n. 3127/2014, Cass. n. 19454/2014, Cass. n. 3705/2014, Cass. n. 37730/2014, Cass. n. 33187/2014) avevano, pur con diverse sfumature di nero, tracciato un quadro in cui la dichiarazione costituiva elemento probativo sufficiente, unito eventualmente ad altri elementi, testimoniali o indiziari. La Sent. n. 40256/2014 modifica completamente l’impostazione, riconducendo la fattispecie delittuosa al suo naturale alveo, cioè al mancato versamento non delle ritenute dichiarate, ma unicamente di quelle certificate. Questa interpretazione sicuramente restringe il perimetro delittuoso ed è una buona notizia, poiché in molti casi l’omissione deriva dalla crisi finanziaria della società, dalle sue difficoltà a stare sul mercato e non da comportamenti realmente fraudolenti, indipendentemente dalla filosofica disquisizione sul tipo di dolo che tale delitto presuppone, se eventuale o intenzionale. E’ presumibile, oggi, che i procedimenti in cui PM o Giudice non riuscissero a produrre le certificazioni da cui emergano le ritenute non versate debbano concludersi con una assoluzione del debitore.

Buone notizie, tutto sommato, anche dal fronte delle modifiche strutturali attese nel prossimo ma imminente futuro, per effetto sia della delega fiscale che della legge di stabilità, in corso di approvazione, entrambe con ricadute sul rilievo penale del comportamento omissivo.

L’art. 44, comma 14, del D.D.L. di Stabilità interviene significativamente, nel più ampio quadro della riforma degli istituti deflattivi, sul ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D. Lgs. 472/1997, ampliandone i termini temporali di utilizzo ed ammettendone il ricorso anche nel caso in cui, prima precluso, siano in corso attività accertative. L’estensione temporale dei termini del ravvedimento, che diviene accessibile quindi anche quando i delitti di cui agli artt. 10-bis e 10-ter della L. 74/2000 fossero già stati irrimediabilmente commessi, costituisce senz’altro una nuova opportunità per il debitore, che continuando a beneficiare della riduzione delle sanzioni può validamente richiedere l’applicazione dell’art. 13 della L. 74/2000 e quindi sia l’esimente dalle pene accessorie (estremamente fastidiose, quali interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e/o dai pubblici uffici, incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, pubblicazione della sentenza, etc.), sia anche, e forse principalmente, la riduzione della pena di un terzo e la possibilità di accedere al patteggiamento e di evitare la forca del sequestro per equivalente.

Anche la Delega fiscale porta buone nuove, ulteriori rispetto a quelle commentate in apertura, nella misura in cui definisce il quadro generale di intervento del Governo nella riforma della disciplina sanzionatoria, con la trasformazione in illecito amministrativo dei delitti di omesso versamento, quando non sia provato l’intento fraudolento, e quindi il dolo. Per capire la portata della novità non possiamo che aspettare il testo dei Decreti delegati, con l’auspicio che sia chiaramente richiesta una fattispecie di dolo specifica, che si distanzi adeguatamente da quella di dolo generico, che dottrina e soprattutto giurisprudenza hanno sino ad oggi troppo frequentemente riconosciuto nel testo degli artt. 10-bis e 10-ter della L. 74/2000.