9 Dicembre 2016

Contratto di rete con mandato senza rappresentanza

di Luigi Scappini
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Il contratto di rete è stato introdotto dal nostro Legislatore nel lontano 2009 con il preciso intento di mettere a disposizione dell’imprenditoria italiana uno strumento aggregativo altamente versatile, con il quale cercare di riuscire a superare il problema dimensionale del tessuto economico italiano che si caratterizza per il cosiddetto “nanismo”.

Tale sindrome si manifesta nella sua pienezza quando il confronto avviene a livello comunitario ove, a titolo di esempio, si definisce quale media impresa quella con un fatturato nei limiti dei 50milioni di euro e con non più di 250 dipendenti.

Ecco che allora è evidente come il contratto di rete si presti a rappresentante uno strumento di cooperazione tra più imprenditori che si pongono degli obiettivi di accrescimento singolo o comune.

Tale forma trova un’efficace applicazione anche nel mondo dell’agricoltura, settore in cui le forme di collaborazione tra imprenditori sono già esistenti e strutturate.

Tuttavia, il contratto di rete applicato al mondo agricolo presenta indubbi vantaggi, rispetto alle altre forme di cooperazione, in ragione della sua versatilità e modellabilità rispetto alle esigenze proprie dei contraenti (i soggetti retisti).

Si pensi alle cooperative, forma collaborativa ampiamente sviluppata sul territorio nazionale in ragione degli indubbi vantaggi fiscali riconosciuti nel momento in cui viene garantita la mutualità prevalente, tuttavia, tale forma presuppone, nella maggior parte delle casistiche, l’obbligo da parte del socio della cooperativa di conferire l’intero prodotto aziendale.

O ancora alle organizzazioni di produttori, strumento che consiste nell’aggregazione di un gruppo di soggetti, ma che presenta alcuni limiti applicativi consistenti nella sua composizione, sia da un punto di vista soggettivo, essendo obbligatoria l’aggregazione tra soggetti operanti nel medesimo comparto agroalimentare, nonché un numero minimo di partecipanti e un volume d’affari minimo.

In questo contesto si inserisce il contratto di rete senz’altro vantaggioso rispetto alle forme aggregative richiamate, innanzitutto in ragione della sua verticalità, infatti, nel contratto di rete, declinato anche sul mondo agricolo, i soggetti retisti possono provenire da svariati settori.

Ad esempio, nel mondo vitivinicolo, si può prevedere un contratto di rete in cui vengano “aggregati” alcuni produttori di piccole dimensioni e un importatore che agirà per conto della rete e quindi di tutti i soggetti che, in caso contrario, incontrerebbero indubbie difficoltà a riuscire a relazionarsi singolarmente con l’importatore stesso.

A questo si deve aggiungere la possibilità di optare per un contratto di rete che non abbia natura giuridica, circostanza che al contrario nell’ipotesi di OP non si può eludere essendo riconosciuta una soggettività giuridica all’organizzazione, nonché la possibilità di non prevedere il conferimento obbligatorio di tutta la produzione nel contratto.

Una particolare e duttile forma di utilizzo del contratto di rete applicato al mondo agricolo ma non solo, è quella che sfocia in uno schema di mandato senza rappresentanza, declinazione perfetta rispetto alle intenzioni originarie del Legislatore.

E tale utilizzo è stato oggetto di chiarimenti anche da parte della DRE del Lazio, in risposta a un interpello specifico (n. 913-427/2015) presentato da un imprenditore agricolo.

Nonostante la risposta non sia sfociata in un documento di prassi ufficiale, rappresenta comunque un utile strumento per meglio comprendere i vantaggi del contratto di rete applicato al mondo agricolo, settore inciso da alcune limitazioni per poter fruire dell’indubbio regime fiscale di favore rappresentato da una tassazione del reddito su base catastale (e, se verranno confermate le previsioni contenute nel DDL bilancio, da una esenzione triennale dall’Irpef).

In particolare giova ricordare come, nel momento in cui l’imprenditore agricolo effettua le operazioni cosiddette connesse, abbia l’obbligo di garantire la prevalenza di utilizzo del propri prodotti rispetto a quelli acquistati presso terzi.

Nel caso oggetto di interpello, era stata costituita una rete tra vari produttori per garantire un determinato quantitativo alla GDO e tra essi ve ne era uno che agiva da capofila in forza di un contratto di mandato senza rappresentanza.

Tecnicamente ciò determina l’emissione da parte del capofila di una fattura unica, comprensiva dei prodotti di tutti i retisti che, a loro volta, procederanno a fatturare i loro quantitativi al capofila.

Il dubbio riguardava la possibilità che l’Agenzia delle entrate, in un eventuale controllo, imputasse alla capofila tutta la produzione con conseguente venir meno della prevalenza.

Tuttavia, la DRE del Lazio interpreta correttamente il contratto in essere e nega tale possibilità essendo evidente come la capofila, agendo in forma di un mandato senza rappresentanza, non entri mai nella titolarità dei prodotti degli altri retisti.

Ecco che allora tale forma di contratto di rete rappresenta una declinazione virtuosa tutte le volte in cui si devono bypassare le limitazioni date dalle ridotte dimensioni.

Si pensi alla GDO o agli importatori che spesso rinunciano a trattare beni di qualità in quanto, in ragione dei ridotti quantitativi, sono più gli oneri dei vantaggi. Attraverso un contratto di rete come descritto, riceveranno un’unica fattura con indubbi tagli burocratici.

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Le problematiche fiscali in agricoltura