21 Gennaio 2015

Commercio elettronico indiretto da parte di operatori in franchigia

di Marco Peirolo
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In un precedente intervento (si veda “La gestione degli acquisti di beni su Internet”) è stato esaminato il regime Iva applicabile ai beni acquistati su Internet presso fornitori non residenti, con successiva consegna attraverso i canali tradizionali (es. posta, corriere, ecc.).

Nell’ambito di tale forma di commercio elettronico, cd. “indiretto”, può accadere che l’operatore italiano sia un contribuente minimo o un nuovo forfetario.

Con specifico riguardo ai rapporti intrattenuti con controparti localizzate in altri Paesi membri dell’Unione europea, occorre distinguere a seconda che l’operatore nazionale agisca come cliente o come fornitore.

Nell’esaminare gli adempimenti ai quali sono tenuti gli operatori soggetti al regime dei “minimi” a seguito delle modifiche introdotte dal cd. VAT Package”, la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 36/E/2010 (Parte I, § 3) ha precisato che:

  • l’operatore “minimo” italiano che acquisti i beni presso un soggetto passivo d’imposta di altro Stato membro “effettua l’acquisto intracomunitario, integra la fattura ricevuta dal cedente estero con l’indicazione dell’aliquota e dell’imposta, non esercita il diritto a detrazione e compila l’elenco riepilogativo degli acquisti intracomunitari”. Il contribuente nazionale, infatti, “risulta debitore dell’imposta nel territorio dello Stato in relazione agli acquisti intracomunitari effettuati (…) e deve porre in essere i conseguenti adempimenti (…)”, tra cui la presentazione del modello INTRA 2-bis;
  • viceversa, l’operatore “minimo” italiano che cede beni ad un soggetto passivo d’imposta di altro Stato membro “non effettua una cessione intracomunitaria, ma piuttosto un’operazione interna, senza diritto di rivalsa, nella quale l’Iva non viene evidenziata in fattura”. Il contribuente nazionale, infatti, non addebita l’Iva a titolo di rivalsa e non è tenuto neppure a presentare il modello INTRA 1-bis proprio perché l’operazione non è intracomunitaria (art. 41, comma 2-bis, del D.L. n. 331/1993).

Le indicazioni dell’Agenzia delle entrate portano a ritenere che, agli effetti territoriali, l’operatore “minimo” sia considerato un soggetto passivo limitatamente agli acquisti, in analogia a quanto la stessa Circolare ha chiarito in relazione alle prestazioni di servizi “generiche” scambiate, sempre in ambito intracomunitario, dall’operatore italiano in franchigia (si veda “L’IVA sui servizi digitali resi dai “minimi” nei rapporti “B2C””).

In pratica, il fornitore non residente che sia un soggetto in franchigia, in quanto ritenuto privo di soggettività passiva, non pone in essere una cessione intracomunitaria nei confronti dell’operatore nazionale; viceversa, l’acquisto è intracomunitario se effettuato dal cessionario italiano in franchigia, nel presupposto che quest’ultimo sia un soggetto passivo d’imposta.

A livello normativo, il trattamento esposto trova conferma nell’art. 38, comma 5, lett. d), del D.L. n. 331/1993, il quale esclude la natura intracomunitaria dell’acquistose il cedente beneficia nel proprio Stato membro dell’esonero disposto per le piccole imprese”; si tratta di una previsione allineata con l’art. 2, par. 1, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, secondo cui sono soggetti a Iva “gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente non soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale che non beneficia della franchigia per le piccole imprese (…)”.

La Circolare n. 36/E/2010 (Parte I, § 4) ha, quindi, coerentemente chiarito che il contribuente italiano, per gli acquisti di beni da operatori comunitari in franchigia, “non effettua l’acquisto intracomunitario, in quanto si deve supporre che trattasi di operazione rilevante ai fini Iva nello Stato membro di origine”. Di conseguenza, il cessionario, “se non ha ricevuto dal proprio dante causa un’apposita documentazione rappresentativa dell’operazione, emette comunque autofattura senza applicazione dell’imposta per documentare l’acquisto e non compila l’elenco riepilogativo degli acquisti intracomunitari di beni”.

Specularmente, le cessioni poste in essere dall’operatore italiano nei confronti dei clienti comunitari in franchigia rivestono natura intracomunitaria, come del resto può desumersi dall’art. 41, comma 2-bis, del D.L. n. 331/1993, che esclude dal novero delle cessioni intracomunitarie soltanto “le cessioni di beni effettuate dai soggetti che applicano, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, il regime di franchigia”.

La Circolare n. 36/E/2010 (Parte I, § 4) conferma questa conclusione, affermando che il soggetto passivo italiano “effettua una cessione intracomunitaria, per la quale l’imposta è dovuta nello Stato membro di destinazione del bene”. Il fornitore, pertanto, “emette fattura senza addebito d’imposta (art. 41 del D.L. n. 331 del 1993) e compila l’elenco delle cessioni intracomunitarie di beni”.