14 Febbraio 2022

Treaty shopping: occorre valutare l’interposizione fittizia della conduit

di Marco Bargagli
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

La clausola antiabuso, conosciuta tra gli addetti ai lavori come “beneficiario effettivo o beneficial ownership”, costituisce un importante strumento per contrastare il fenomeno del “treaty shopping”, ossia una forma di abuso dei trattati internazionali che consente di veicolare – tramite mere conduit companies -alcune tipologie reddituali (segnatamente dividendi, interessi o royalties) con il precipuo scopo di ottenere l’esenzione o la riduzione della ritenuta alla fonte (c.d. withholding tax) sfruttando, indebitamente, i benefici previsti dagli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi o dalle direttive comunitarie.

Anche la prassi operativa (cfr. Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza – volume III – parte V – capitolo 11 “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievo internazionale”, pag. 333), ha tracciato, in chiave interpretativa, le caratteristiche dei principali fenomeni di elusione fiscale internazionale in subiecta materia, individuando:

  • il “treaty shopping”, mediante il quale si tende a sfruttare indebitamente un certo regime vantaggioso contenuto in una o più Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, soprattutto attraverso l’artificiosa localizzazione di una struttura economica (c.d. conduit company) in uno dei Paesi aderenti alla Convenzione, affinché detta struttura diventi funzionale alla fruizione delle agevolazioni previste dal Trattato internazionale, altrimenti non accessibili;
  • il “directive shopping”, che si realizza quando un’entità residente in uno Stato non appartenente all’UE interpone in uno Stato membro, con il quale – di norma – lo Stato in cui risiede ha stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni ritenuta favorevole, un’altra entità, al solo scopo di beneficiare, indebitamente, del regime fiscale previsto dalla disciplina dell’Unione Europea;
  • il “rule shopping”, che consiste nella ricerca, all’interno di una Convenzione internazionale, della disposizione che comporta il minor prelievo fiscale, adeguando ad essa, quanto meno da un punto di vista formale, le operazioni economiche che si intendono porre in essere.

Sulla base delle raccomandazioni diramate a livello internazionale, il beneficiario effettivo è il percettore dei redditi che gode del semplice diritto di utilizzo dei flussi reddituali (right to use and enjoy) e non è obbligato a retrocedere gli stessi ad altro soggetto sulla base di obbligazioni contrattuali o legali, desumibili anche in via di fatto (unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person).

Per ottenere l’indebita agevolazione fiscale occorre costituire prima e utilizzare poi una società veicolo (c.d. conduit company), solitamente residente in ambito comunitario, che si interpone tra lo Stato della fonte reddituale (Italia) e lo Stato del beneficiario finale dei redditi (normalmente residente in un territorio extra Ue).

In merito, occorre attentamente analizzare la natura e l’operatività della società veicolo e, soprattutto, comprendere se la stessa rivesta la natura di “struttura di puro artificio”, operando nell’ambito di una “fittizia triangolazione” sui flussi reddituali finalizzata unicamente ad ottenere un risparmio di imposta altrimenti non spettante.

Sullo specifico punto, si richiamano le argomentazioni fornite in tema di beneficiario effettivo dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, nelle sentenze pubblicate in data 26 febbraio 2019 riguardanti i “casi danesi” (cause riunite C-116/16 e C- 117/16, riferite all’applicazione della direttiva comunitaria “madre-figlia”, e cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16, C-299/16, riguardanti il trattamento fiscale della direttiva “interessi-canoni”).

In particolare, la Corte (Grande Sezione) ha dichiarato che:

  • l’esenzione da qualsiasi tassazione per gli interessi versati prevista dalla Direttiva 2003/49/CE (interessi-canoni), è riservata ai soli beneficiari effettivi degli interessi medesimi, ossia alle entità che beneficino effettivamente, sotto il profilo economico, degli interessi percepiti e dispongano, pertanto, del potere di deciderne liberamente la destinazione;
  • il principio generale di diritto dell’Unione, secondo cui i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme comunitarie, deve essere interpretato nel senso che, a fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità ed i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell’esenzione da qualsiasi tassazione degli interessi versati;
  • la prova di una pratica abusiva richiede da un lato un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito dalla normativa medesima non sia stato conseguito; dall’altro, è necessario un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.

A parere dei giudici unionali, la costruzione di puro artificio può essere individuata in un gruppo societario che non riflette una reale sostanza economica, ma risulta caratterizzato da una struttura puramente formale avente come obiettivo principale, ovvero uno degli obiettivi principali, il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale in contrasto con normativa tributaria applicabile.

Il fenomeno elusivo si realizza quando, grazie all’interposizione di una società all’interno della struttura del gruppo tra la società erogatrice dei flussi reddituali e la società del gruppo che ne è la beneficiaria effettiva, viene evitato il versamento delle imposte dovute.

In particolare, costituisce un preciso “indizio” dell’esistenza di una costruzione artificiosa, volta a beneficiare indebitamente dell’esenzione prevista dalle direttive comunitarie, il fatto che gli interessi o i dividendi vengano ritrasferitiintegralmente o quasi – entro un lasso di tempo molto breve successivo al loro percepimento, dalla società percettrice verso un’entità che non possiede i requisiti per l’applicazione dei benefici previsti dalle stesse direttive comunitarie “interessi-canoni” e “madre-figlia”.

Ciò posto, giova ricordare che l’articolo 26-quater D.P.R. 600/1973 (che ha recepito la Direttiva 2003/49/CE del 3 giugno 2003, c.d. Direttiva “Interessi-Canoni”), prevede l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti nei confronti di soggetti residenti in Stati membri dell’Unione Europea.

A tale fine, le società beneficiarie (o le società le cui organizzazioni sono beneficiarie):

  • devono risiedere ai fini fiscali in uno Stato membro, senza essere considerate, ai sensi della Convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi stipulata con uno Stato terzo, residenti al di fuori dell’Unione europea;
  • devono rivestire una delle forme previste dall’allegato A del D.Lgs. 143/2005, ossia devono rivestire tassative forme giuridiche nazionali.

Inoltre, il soggetto percettore deve essere il beneficiario effettivo dei flussi di reddito corrisposti e non può operare come un soggetto meramente interposto nel flusso reddituale, al solo scopo di usufruire della direttiva comunitaria.

Interessanti profili ermeneutici in tema di beneficiario effettivo sono stati recentemente illustrati dalla suprema Corte di cassazione, Sezione V civile, con l’ordinanza n. 3380 pubblicata il 03.02.2022.

La controversia in rassegna nasce da una contestazione mossa da parte dell’Agenzia delle entrate, nei confronti di una nota società italiana operante nel campo dell’editoria, a cui era stata disconosciuta l’esenzione della ritenuta ex articolo 26-quater D.P.R. 600/1973, sugli interessi passivi dovuti sul prestito obbligazionario nei confronti di investitori americani.

Il gruppo multinazionale, non potendo emettere direttamente prestiti obbligazionari, aveva utilizzato una società consociata lussemburghese che era stata giudicata, da parte dell’Amministrazione finanziaria, una mera conduit (i.e. società veicolo), in quanto gli interessi passivi percepiti in esenzione da ritenuta, in applicazione della “direttiva comunitaria Interessi Canoni”, venivano poi integralmente rigirati verso gli Stati Uniti.

Gli Ermellini non hanno accolto la tesi dell’interposizione, formulando importanti principi di diritto in tema di beneficiario effettivo, come di seguito indicato:

  • la prassi internazionale tributaria ha elaborato il concetto di “beneficiario effettivo” al fine di contrastare quelle pratiche volte proprio a trarre profitto dalla autolimitazione della potestà impositiva statale. Tale clausola generale dell’ordinamento fiscale internazionale è volta ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping, con lo scopo di riconoscere la protezione convenzionale a contribuenti che altrimenti non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole;
  • il treaty shopping implica lo sfruttamento delle differenze nei trattati stipulati fra le varie nazioni, mediante la frapposizione di un soggetto residente in uno Stato terzo (conduit), nel flusso reddituale tra lo Stato della fonte e quello del beneficiario effettivo;
  • nel caso degli agenti, dei nominees e delle conduit companies, che operano quali fiduciari, il percettore degli interessi non ne è il beneficiario effettivo, in quanto il medesimo non ha il diritto di disporre degli interessi percepiti, ma ha l’obbligo di trasferirli ad altro soggetto;
  • la società conduit è un soggetto che si frappone nei rapporti tra erogante e beneficiario finale, come soggetto percipiente solo formalmente, la cui costituzione non è supportata da motivazioni economiche apprezzabili diverse dal risparmio fiscale. La c.d. società “condotto” funge da mero “canale di transito” dei redditi, quindi dalla fonte al beneficiario finale, sicché la scelta di “canalizzazione” si giustifica unicamente nelle più vantaggiose implicazioni fiscali del “transito”.

Il “beneficiario effettivo” ha sia la titolarità che la disponibilità del reddito percepito e non è tenuto ad alcun trasferimento dello stesso a terzi: quindi non possono essere ricomprese tra i “beneficiari effettivi” le “società relais” (società interposte), ossia società che, sebbene formalmente titolari di redditi, dispongono nella pratica soltanto di poteri molto limitati, risultando essere semplici fiduciarie o semplici amministratori agenti per conto delle parti interessate.

Nel caso esaminato da parte dei Giudici di piazza Cavour, la società di diritto lussemburghese che ha canalizzato i flussi reddituali verso gli Stati Uniti è stata considerata il beneficiario effettivo, non avendo quindi natura di struttura di puro artificio, atteso che:

  • esiste da più di cinquant’anni;
  • ha una sua struttura operativa reale e non costituisce una “scatola vuota”;
  • ha per oggetto sociale la tenuta e compravendita di partecipazioni in società editrici;
  • ha prodotto ingenti utili;
  • ha emesso il prestito obbligazionario sei mesi prima dell’italiana quando questa non poteva farlo;
  • gli interessi attivi percepiti sono stati regolarmente iscritti in bilancio ed hanno concorso a formare il reddito;
  • vi è una sua effettiva disponibilità delle somme, in assenza di obblighi contrattualmente fissati di diretto (ri) trasferimento;
  • ha emesso titoli obbligazionari propri, scontandone la relativa disciplina e ponendo il proprio patrimonio a garanzia degli investitori americani.