28 Ottobre 2016

Status di soggetto passivo del committente nei servizi con l’estero

di Luca Caramaschi
Scarica in PDF

L’articolo 7-ter, comma 2, del decreto Iva, di recepimento dell’articolo 43 della Direttiva 2006/112/CE, al fine di applicare la regola territoriale delle prestazioni di servizi cd. “generici”, dispone quando i soggetti (committenti delle prestazioni di servizi) si devono considerare “soggetti passivi” per le prestazioni ad essi rese. In particolare, sono soggetti passivi:

  • gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni. Resta ovviamente inteso che le persone fisiche si considerano soggetti passivi, limitatamente alle prestazioni di servizi ricevute nello svolgimento dell’attività d’impresa o di arte e professione;
  • gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, di cui all’articolo 4, comma 4, del D.P.R. 633/1972, anche quando operano al di fuori dell’attività commerciale o agricola;
  • gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, non soggetti passivi, identificati ai fini IVA.

La nozione di soggetto passivo contenuta nel citato articolo 7-ter del D.P.R. 633/1972 è piuttosto ampia e ricomprende sia gli enti non commerciali, anche quando operano al di fuori dell’attività commerciale, nonché gli enti non commerciali, che non svolgono alcuna attività commerciale, ma che sono identificati ai fini IVA. Tali ultimi soggetti sono enti identificati ai fini IVA, per obbligo o per scelta, per l’assolvimento dell’imposta sugli acquisti intracomunitari di beni, di cui all’articolo 38, comma 6, del D.L. 331/1993, e per i quali è in ogni caso precluso il diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti.

Come si desume dal contenuto dell’articolo 7-ter, comma 2, del D.P.R. 633/1972, dedicato alla soggettività passiva per i servizi resi, è altresì necessario evidenziare i seguenti aspetti:

  • per gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, al fine di verificare lo status di soggetto passivo, è sufficiente il possesso della partita IVA, a differenza di quanto accadeva fino al 2009, in cui era necessario verificare l’effettivo utilizzo del servizio (se la prestazione era riferita alla sfera istituzionale, il committente si qualificava come privato, mentre se l’utilizzo del servizio era riferito alla sfera commerciale dell’ente, tale soggetto era considerato soggetto passivo);
  • per gli imprenditori individuali e professionisti rimane il “dualismo” tra l’utilizzo nella sfera privata del servizio, nel qual caso il committente non riveste la qualifica di soggetto passivo, e l’utilizzo del servizio stesso nella sfera imprenditoriale e/o professionale, in tal caso il committente è soggetto passivo IVA.

Peraltro, in merito alla prova dello “status” del committente, è necessario distinguere in funzione del fatto che il committente sia stabilito o meno in un Paese UE.

Nel caso di committente stabilito nella UE, l’articolo 18 del Regolamento UE 282/2011 illustra due situazioni al ricorrere delle quali, “salvo che disponga di informazioni contrarie, il prestatore può considerare che un destinatario stabilito nella Comunità ha lo status di soggetto passivo”. Si tratta, in particolare, delle seguenti fattispecie:

  • il committente ha comunicato al prestatore il proprio numero individuale di identificazione IVA;
  • il committente non ha ancora ricevuto un numero di identificazione IVA, ma ne ha fatto richiesta.

Nel primo caso (comunicazione da parte del committente del proprio numero di partita IVA), tale informazione non è però sufficiente per ottenere la conferma dello “status di soggetto passivo”: è necessario, infatti, che il prestatore nazionale verifichi, tramite il sistema VIES, che la partita IVA comunicatagli dal committente risulti essere attiva (circolare 37/E/2011).

Diversamente, invece, in caso di assenza della comunicazione della partita IVA da parte del destinatario, si possono realizzare i seguenti scenari:

  • il committente comunica al prestatore di aver fatto richiesta del numero di identificazione, nel qual caso si richiede al prestatore di attivarsi al fine di ottenere qualsiasi prova attestante che il committente sia un soggetto passivo, effettuando una verifica di ampiezza ragionevole dell’esattezza delle informazioni fornite dal destinatario, applicando le ordinarie procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di pagamento;
  • in assenza di comunicazione della partita IVA, si può ritenere che il committente non riveste la qualifica di soggetto passivo d’imposta, a meno che il prestatore non disponga di informazioni contrarie.

Nel caso di committente extra UE, non essendo possibile una verifica della partita IVA del Committente extra Ue, l’articolo 18 del Regolamento UE 282/2011 prevede due “opzioni” per la verifica dello status di operatore economico. In particolare, è possibile:

  • richiedere al committente un certificato – rilasciato delle autorità fiscali del Paese in cui quest’ultimo è residente – che attesti che il soggetto svolge un’attività economica che gli conferisce il diritto ad ottenere il rimborso dell’IVA, a norma della direttiva 85/560/CEE del 17.11.1986, oppure;
  • in mancanza del suddetto certificato, il committente può dimostrare il proprio status di soggetto economico se dispone di un numero di partita IVA (o di un numero analogo) idoneo ad identificare le imprese nel Paese di stabilimento del destinatario.

In ogni caso, è possibile comunque fornire qualsiasi altra prova idonea a verificare lo status di soggetto passivo del committente, purché, come affermato dall’Agenzia delle entrate nella circolare 37/E/2011, sia svolta una “verifica di ampiezza ragionevole dell’esattezza delle informazioni fornite dal destinatario applicando le normali procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di pagamento”.

Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso:

Le operazioni intracomunitarie