15 Dicembre 2014

Sognando la pratica perfetta

di Michele D’Agnolo
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Ad ogni professionista è capitato di sognare la pratica perfetta. La pratica perfetta è una prestazione professionale nell’ambito della quale va tutto liscio al primo colpo. Roba da leccarsi i baffi!

Nel caso del commercialista, ad esempio, pensiamo ad un cliente che ci contatta per la prima volta per la compilazione e spedizione di una dichiarazione dei redditi. Un cliente che non fa come di solito succede l’improvvisata a studio, ma invece chiede civilmente un appuntamento (uno zelo quasi sospetto). Ci telefona, trova subito la linea dello studio libera (strano), e immediatamente la nostra segretaria gli fissa una riunione con i sottoscritti, in quanto conosce le nostre disponibilità (incredibile).

Arriviamo entrambi puntuali all’incontro e anche preparati. Il cliente porta tutti i dichiarativi degli anni precedenti e in una cartellina tutta la documentazione già ordinata in base ai quadri della dichiarazione cui afferisce (roba da non credere). Al termine del colloquio, che si mantiene nel tempo stanziato, il cliente accetta il preventivo senza batter ciglio e sottoscrive immediatamente il mandato, consegnando tutta la documentazione inerente (da perderci la testa, per un cliente così).

La pratica viene assegnata seduta stante dal professionista a un collaboratore, che la accetta senza discutere, anzi di buon grado (fantascienza), e la inserisce correttamente nella propria pianificazione riuscendo a soddisfare anche le particolari scadenze richieste dal cliente. Le istruzioni arrivano tempestivamente e anche gli aggiornamenti software, e funzionano tutti perfettamente (quasi surreale).

L’inserimento dei dati viene effettuato in un’unica sessione senza interruzioni e senza errori. Il controllo è effettuato dal professionista seduta stante, senza attese per l’operatore. L’addetto telefona al cliente, che risponde subito e accetta l’appuntamento. Il cliente dà il via libera all’F24. Il cliente passa a sottoscrivere i modelli e paga spontaneamente la fattura nei confronti dello studio. La trasmissione telematica parte al primo colpo senza alcun errore (è più facile fare 13 al Totocalcio…). Il modello così spedito non genera avvisi bonari né alcun genere di non conformità nemmeno negli anni successivi. Il cliente ritira puntualmente e senza discutere la documentazione di propria competenza allo scadere del periodo pattuito per la conservazione presso lo studio (sembra di essere a Disneyland…).

Fatte pari a cento le pratiche che svolgiamo nei nostri studi, quante vanno a finire così? Una rapida indagine svolta dal vivo intervistando i colleghi e le colleghe in sala durante l’ultimo ciclo di convegni Attractive Tour di Team System ha indicato percentuali variabili dallo zero dei più pessimisti al 15% dei più ottimisti.

In altre parole solo il 15% delle cose che facciamo sono completamente giuste, mentre l’85% delle pratiche svolte comporta almeno un problema.

Mi ritorna in mente quel mio cliente che ha una fabbrichetta nel padovano, che produce i battiscopa. Si, quei pezzi di legno che servono per rifinire la posa in opera dei pavimenti e delle cucine componibili. Nella sua attività, lo scarto ammesso è di poco più del 2%. Se avesse uno scarto di produzione dell’85% sarebbe completamente fuori mercato.

È chiaro che sto estremizzando e semplificando. Noi non produciamo battiscopa, abbiamo processi produttivi dove discrezionalità e complessità sono di gran lunga maggiori. Inoltre allo scarto del 2% andrebbero aggiunti nel computo anche le non conformità di processo che avvengono in catena di produzione ma che non hanno un impatto sul prodotto finito in termini di quantità ma solo in termini di tempo o scadenza di produzione.

E tuttavia balza all’occhio il dato dell’85% nella sua estrema rilevanza.

Rifacimenti, duplicazioni, attese possono ammontare anche al 30% dei tempi necessari a produrre un dichiarativo, una contabilità, una busta paga ma anche una consulenza o un operazione straordinaria.

La nostra federazione internazionale IFAC ha stimato importi simili per i costi della non qualità presenti nel conto economico di ogni studio o azienda.  Questi costi non si vedono a occhio nudo nel conto economico dello studio in quanto sono “annegati” per lo più nel costo del personale e dei consulenti.

Ma il vero danno del lavorare “alla Claudio Baglioni”, aggiustando le cose “strada facendo”, è quello sul morale dello studio. A nessuno piace sbagliare, neanche a chi viene a lavorare solo per attendere il 27 del mese. Ma ai professionisti e ai loro collaboratori lavorare male spiace in modo particolare. È altamente demoralizzante la pratica boomerang, quella non si schioda dalla scrivania. È la negazione della professionalità. Come un perfetto assassino, non vorremmo mai dover tornare sulla scena del delitto.  

E talvolta la demoralizzazione porta a non amare le pratiche problematiche e a buttarle su, generando così potenziali nuovi problemi. Qualcuno riesce perfino a convincersi che un certo cliente è sfortunato, palesemente vittima del malocchio. Profezie che si autoavverano. Raddrizzare i processi produttivi per ottenere l’errore zero non è affatto facile. In particolare, certi problemi saranno difficili da affrontare perché non sono nel nostro pieno controllo. Se Entratel non funziona dovrò rimbalzare il modello fino a quando non riuscirò a spedirlo. Se non ho le istruzioni per le dichiarazioni in tempo utile, anche il software arriva tardi e io comincerò a lavorare tardi. Tutto diventa urgente, basta aspettare. Nel risolvere queste problematiche di interesse collettivo sarebbe interessante un ruolo positivo e propositivo da parte degli organismi di categoria e una maggiore apertura degli organismi statali con i quali lavoriamo in filiera, senza mai avere la possibilità di organizzarci reciprocamente.

Molti altri problemi sono invece nel pieno del nostro controllo. Organizzare l’accesso del cliente, educarlo a tenere ordine nelle proprie pratiche, mandargli un elenco personalizzato di documenti da produrre, rintuzzare le riunioni fiume, dissuaderlo dall’utilizzare lo studio come uno scaffale di casa sua, sollecitare fin da marzo i ritardatari cronici sono cose che potremmo tranquillamente fare, se solo ne trovassimo il tempo.

E parimenti potremmo pianificare e gestire la produzione in base alle possibilità effettive di carichi di lavoro dei singoli. Potremmo organizzare l’ordine di esecuzione dei dichiarativi in modo da risolvere i problemi che si sono manifestati negli anni precedenti, anticipando i dichiarativi tecnicamente complessi, quelli con maggiori debiti di imposta e poi quelli dei clienti puntuali e precisi. Lasciando per ultimi quelli più facili e non viceversa. Potremmo anticipare la raccolta dei dati extracontabili per gli studi di settore e magari precompilare ai primi di gennaio tutte le mappine per le pratiche.

Se fossimo un pochino più coesi tra colleghi, potremmo addirittura organizzare la produzione dei dichiarativi in studi o centri servizi collettivi che abbiano una mole di lavoro sufficiente a giustificare la presenza di un manager di linea a tempo pieno, per non far attendere una risposta tecnica per settimane ai nostri collaboratori e bloccare così la produzione dello studio.

Pensate se solo il numero delle “pratiche perfette” raddoppiasse, quale sarebbe il vantaggio in termini economici e di vivibilità dello studio. Immaginatevi di ritrovare finalmente dopo tanti anni un vecchio amico che non pensavamo di poter mai più rivedere: il piacere di lavorare. Altrimenti quella del professionista rischia di diventare una triplice condanna: non solo dobbiamo lavorare sempre e dovremo lavorare per sempre, ma dovremo pure farlo male.