25 Ottobre 2016

OK è sempre OK?

di Laura Maestri
Scarica in PDF

Nel 1872 Charles Darwin scrisse un libro intitolato: “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”. Questa pubblicazione formò le fondamenta della ricerca e degli studi – ancora in corso – sul linguaggio del corpo e sul significato delle espressioni facciali. Da allora, gli scienziati hanno identificato quasi un milione di segnali non verbali, che si adottano costantemente per esprimere le proprie emozioni.

I gesti dei bambini molto piccoli, come la suzione e il sorriso, sono palesemente spontanei e insiti nella natura umana. Altri, pur essendo acquisiti dall’osservazione e dalla conseguente imitazione, sono “trasversali”: hanno lo stesso significato sia per gli abitanti di una grande città, che per i gruppi tribali che non hanno alcun contatto con altre civiltà.

Altre gestualità, invece, hanno radici squisitamente locali: così come il linguaggio verbale cambia da cultura a cultura, anche il linguaggio non verbale varia da continente a continente. A volte un gesto comune in una specifica parte del mondo, nella quale ha una precisa interpretazione, altrove può non aver alcun senso se non addirittura acquisire un significato completamente diverso.

Prendiamo ad esempio il classico gesto ad anello fra il pollice e l’indice della stessa mano con cui, in generale, si comunica “OK” (indicando approvazione, accordo, consenso).

Ideato negli Stati Uniti agli inizi del 19simo secolo, quando attecchì la frenesia di abbreviare le frasi più popolari, questo segno gode di molte teorie sulla propria origine; una delle più accreditate è l’antitesi di K.O., abbreviazione di “Knock Out”, cioè stendere a tappeto.

L’anello formato dalle dita che riproduce la “O” di “OK” è oggi adottato in tutti i paesi di lingua anglosassone, in Europa e in quasi tutta l’Asia. Ma sebbene questo specifico significato si sia diffuso molto rapidamente a livello globale, in alcune culture l’OK ha un’interpretazione diversa. Ad esempio, in Francia il gesto significa “zero” o “niente”: può anche essere interpretato come un insulto rivolto a qualcuno considerato uno ‘zero’. In Giappone si usa per chiedere al cassiere il resto in monete al posto di banconote; è in questo paese orientale che il senso di approvazione attribuito all’OK viene trasferito con una gestualità completamente differente: la “O” viene sì riprodotta simbolicamente, ma formandola con le braccia sopra la testa.

In alcune aree dell’America Latina questo gesto è considerato decisamente maleducato. Lo imparò bene Richard Nixon negli anni 50, nel ruolo di vice presidente degli Stati Uniti, che si ritrovò di fronte ad un pubblico di brasiliani furibondi dopo aver indirizzato loro quello che per lui era un segno di positività: inconsapevolmente, li aveva offesi con un gesto osceno.

È evidente che, per chi viaggia frequentemente, sia imperativo seguire la regola: “Quando sei a Roma, fai come i Romani”. O quantomeno, per evitare situazioni imbarazzanti, è meglio confidare nelle proprie, confortanti espressioni verbali.

Comunicare piu’ efficacemente con le tecniche della programmazione neurolinguistica