27 Maggio 2022

Sequestro e confisca solo sul “compenso” per chi emette fatture false

di Angelo Ginex
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In tema di reati tributari, il prezzo del delitto di emissione di fatture false, che può essere oggetto di confisca diretta ovvero, in caso di impossibilità di esecuzione, per equivalente, così come di sequestro preventivo ad essa finalizzato, non coincide con il profitto eventualmente conseguito dai terzi beneficiari delle fatture false, ma con l’eventuale compenso percepito dall’emittente di tali fatture.

È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 20551 depositata ieri 26 maggio, in conformità al consolidato orientamento in materia (cfr., Cass. 11/12/2018, n. 2553; Cass. 4/02/2016, n. 15458; Cass. 26/09/2013, n. 42641).

La fattispecie in esame prende le mosse da una pronuncia della Corte d’appello di Bologna che, confermando quanto statuito dal Gup del Tribunale di Reggio Emilia, condannava l’imputato, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni due di reclusione per i reati di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex articolo 8 D.Lgs. 74/2000 e di distruzione o occultamento di documenti contabili ex articolo 10 D.Lgs. 74/2000. Inoltre, la citata pronuncia prevedeva l’irrogazione delle pene accessorie di cui all’articolo 12 D.Lgs. 74/2000, nonché la confisca diretta ovvero, in caso di impossibilità di esecuzione, per equivalente, di ingenti somme di denaro ai sensi dell’articolo 12-bis D.Lgs. 74/2000.

Pertanto, l’imputato proponeva ricorso per cassazione avverso tale sentenza eccependo, con unico motivo di doglianza, la violazione degli articoli 8 e 12-bis D.Lgs. 74/2000 e il vizio di motivazione in ordine alla confisca disposta sui suoi beni.

In particolare, l’imputato lamentava che la Corte d’appello si fosse semplicemente limitata a richiamare una pronuncia giurisprudenziale inconferente al caso di specie, dal momento che questa riguardava i reati tributari di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione e di omesso versamento, mentre nel caso di specie si discuteva di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e di distruzione o occultamento di documentazione contabile.

Conseguentemente, l’imputato rilevava che il profitto del reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 8 D.Lgs. 74/2000, non poteva coincidere con il risparmio di imposta evasa, ma che l’entità dei beni confiscabili avrebbe dovuto essere rapportato all’eventuale compenso da egli percepito per l’emissione a favore di terzi di fatture false, aventi ad oggetto operazioni inesistenti.

Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato tale motivo di doglianza, evidenziando come la Corte d’appello sia incorsa in un errore di diritto, laddove ha affermato, con motivazione meramente apparente, che la confisca disposta nei confronti dell’imputato debba avere ad oggetto il profitto consistente nel risparmio economico delle imposte evase.

Piuttosto, i giudici di legittimità, condividendo la tesi del ricorrente, hanno affermato che, in relazione al delitto di emissione di fatture false ex articolo 8 D.Lgs. 74/2000, deve essere richiamato il principio costantemente affermato in materia, secondo cui: «La confisca diretta o per equivalente, come il sequestro preventivo finalizzato ad essa, del profitto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti non può essere disposta sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime».

La statuizione della Suprema Corte poggia sulla considerazione per la quale il regime derogatorio previsto dall’articolo 9 D.Lgs. 74/2000, che esclude la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale, impedisce l’applicazione, nella ipotesi di reato di emissione di fatture false ex articolo 8 D.Lgs. 74/2000, del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo (cfr., Cass. 18/10/2016, n. 43952; Cass. 6/11/2013, n. 48104).

Dunque, sulla scorta delle argomentazioni sopra esposte, i giudici di vertice hanno concluso che, in questa specifica fattispecie, l’entità dei beni che possono essere oggetto di confisca, deve essere parametrata non al profitto eventualmente conseguito dai terzi per effetto dell’emissione di fatture aventi ad oggetto operazioni inesistenti, ma solo al prezzo del reato, e cioè all’eventuale compenso che l’emittente abbia percepito per l’emissione delle fatture.

Da ultimo, in relazione al delitto di distruzione o occultamento di documenti contabili ex articolo 10 D.Lgs. 74/2000, la Corte di Cassazione ha precisato che esso è stato considerato dalla Corte d’appello come sostanzialmente strumentale rispetto all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, per cui non è stato possibile identificare per lo stesso un autonomo profitto confiscabile.