10 Gennaio 2014

Pronte le retribuzioni convenzionali per il 2014

di Nicola Fasano
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Con il D.M. 23 dicembre 2013, pubblicato sulla G.U. del 3 gennaio scorso sono state approvate le retribuzioni convenzionali per il periodo di imposta 2014, da utilizzare nel caso di lavoro dipendente svolto all’estero.

Per quest’anno gli importi sono stati incrementati dell’1,5% (a fronte dell’aumento del 3% dello scorso anno). Le retribuzioni in esame hanno rilevanza sia ai fini previdenziali che fiscali.

Dal punto di vista fiscale si ricorda che ai sensi dell’art. 51, comma 8-bis, Tuir, in deroga alle disposizioni previste dai commi precedenti del medesimo art. 51, il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto di cui all’art. 4, comma 1, del d.l. 317/1987 (convertito con modificazioni dalla L. 398/87), in relazione ai vari settori produttivi e in funzione dell’inquadramento della risorsa.

Al riguardo, va in primo luogo precisato che la disciplina in esame si rivolge a quei lavoratori che, pur svolgendo l’attività lavorativa all’estero, in base all’articolo 2 del TUIR continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia (in quanto sussiste in Italia, per la maggior parte del periodo di imposta, l’iscrizione nell’Anagrafe della popolazione residente, o il domicilio – inteso come centro di affari e interessi – o la residenza, da intendersi come dimora).

In linea generale, i casi più ricorrenti in cui si deve fare riferimento alle retribuzioni convenzionali sono quello in cui il dipendente va a lavorare all’estero nella seconda parte dell’anno fiscale considerato e quello in cui mantiene il centro dei propri affari e interessi in Italia (semplificando, nel caso dei dipendenti, soprattutto quando la famiglia resta in Italia). Trattasi infatti di circostanze in cui la persona fisica, salvo ovviamente l’analisi da effettuarsi caso per caso, resta fiscalmente residente in Italia.

Per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali, poiché la norma richiede che il lavoro sia svolto in via continuativa ed esclusiva all’estero, è necessario che sia stipulato uno specifico contratto di distacco o assegnazione all’estero. E’ inoltre consigliabile l’apposita annotazione nel Libro Unico del Lavoro. Ciò ovviamente qualora il dipendente sia inviato all’estero da una società italiana, generalmente presso una consociata straniera. La disciplina in esame, tuttavia, deve ritenersi senz’altro applicabile, ricorrendo le altre condizioni, anche quando il dipendente sia assunto direttamente da una società estera. Ovviamente, qualora ci sia un sostituto di imposta italiano sarà quest’ultimo ad applicare le ritenute considerando le retribuzioni convenzionali. In assenza del sostituto dovrà essere il dipendente a riportare nel proprio Modello Unico il reddito di lavoro determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali.

Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all’estero, come chiarito dalla circolare 207/E/2000, par. 1.5.7, il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente che il lavoratore svolga l’attività all’estero per un minimo di 183 giorni nell’arco di dodici mesi, anche a cavallo di due periodi di imposta.

Per l’effettivo conteggio dei giorni di permanenza del lavoratore all’estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni, il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.

Da ultimo, deve evidenziarsi che la risoluzione n. 48/E/2013 ha chiarito come ai fini del credito di imposta (che spetta in Italia a seguito della doppia tassazione del reddito di lavoro dipendente anche, di solito, nel Paese estero) il riproporzionamento dell’imposta estera di cui all’art.165 Tuir deve essere effettuato riqualificando il reddito estero con le regole italiane, come se l’attività lavorativa fosse stata svolta in Italia, applicando le disposizioni dei commi da 1 a 8 dell’art. 51.