22 Settembre 2018

Prelazione agraria: la coltivazione del fondo non deve essere prevalente

di Luigi Scappini
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Come noto, l’agricoltura fruisce di un complesso di norme, sia civilistiche sia fiscali, a carattere speciale (a volte agevolative) che, tuttavia, nella maggior parte dei casi, richiedono la sussistenza di determinati requisiti soggettivi.

In particolare, le norme fanno sempre riferimento alla figura professionale capostipite dell’agricoltura, il coltivatore diretto, a cui successivamente si sono affiancate altre figure quali lo Iapt e lo Iap e, in altri casi, si è equiparato l’imprenditore al coltivatore diretto o allo Iap.

Recente esempio è l’equiparazione ai fini dell’applicazione delle norme sui contratti agrari di cui alla L. 203/1982 dello Iap iscritto alla previdenza agricola al coltivatore diretto effettuata dall’articolo 1, comma 515, L. 205/2017, tramite l’introduzione di un nuovo comma all’articolo 7 L. 203/1982.

La circostanza per cui il coltivatore diretto sia tutt’ora figura centrale comporta una particolare attenzione nella sua delimitazione, resa ancor più complessa per l’assenza di una norma univoca in tal senso.

Di talché, il coltivatore diretto viene definito come colui che coltiva il fondo con il proprio lavoro e quello della propria famiglia, a condizione che tale forza lavorativa rappresenti almeno 1/3 di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo; definizione, questa, sintesi di varie norme quali l’articolo 6 L. 203/1982, l’articolo 2 L. 1047/1956, l’articolo 31 L. 590/1965 e l’articolo 2 L. 9/1966.

Conforme a tale definizione è anche l’articolo 31 L. 590/1965 con cui viene riconosciuta la prelazione agraria ai coltivatori diretti.

E su tale prerogativa concessa ai coltivatori diretti (ovvero la prelazione dei fondi rustici dagli stessi condotti in forza di un contratto di affitto) verte una recente sentenza che ci offre lo spunto per evidenziare un aspetto del coltivatore diretto che spesso non si tiene in debita considerazione.

In particolare, con la sentenza n. 13792 del 31.05.2018, la Cassazione ha avuto modo di affermare come “Ai fini della prelazione e del riscatto agrari, la qualifica di coltivatore diretto ai sensi dell’articolo 31 della legge 26 maggio 1965, n. 590, non è esclusa dalla circostanza che il medesimo soggetto svolga altra attività lavorativa, compresa quella dell’allevamento e del governo del bestiame, né richiede una valutazione di prevalenza dell’attività agricola rispetto alle altre oppure la verifica di quale sia principale fonte di reddito dell’interessato, risultando sufficiente che l’attività di coltivazione sia esercitata in modo abituale e che la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo.”.

L’arresto giurisprudenziale richiamato interpreta correttamente la norma che a ben vedere non richiede che l’attività agricola svolta sul fondo sia quella che occupa la maggior parte del tempo lavorativo dell’imprenditore e quella da cui lo stesso ne ritrae la maggior parte delle proprie fonti di reddito.

Tali requisiti, al contrario, come noto, sono espressamente richiesti dall’articolo 1 D.Lgs. 99/2004 ai fini del riconoscimento della qualifica di Iap (imprenditore agricolo professionale).

Nel caso specifico della prelazione agraria, ciò che conta, ai fini del suo possibile esercizio, è il riconoscimento della qualifica in ragione del fondo oggetto di compravendita.

L’attività esercitata sul fondo deve essere abituale, da intendersi quale normale ed usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l’attività agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia, ben potendo, tale reddito risultare secondario rispetto ad altri provenienti da differenti attività esercitate. In tal senso, come detto, depone un filone giurisprudenziale consolidato (ex plurimis sentenze n. 5673/2003, n. 9865/1997 e n. 5456/1991).

La norma sulla prelazione, tuttavia, richiede una precisazione doverosa; infatti, il dato letterale della stessa fa esplicito riferimento anche all’allevamento e al governo del bestiame (leggasi animali), tuttavia si è del parere che in ragione della ratio della norma, consistente nel riunire sotto la stessa figura imprenditoriale il proprietario del fondo e colui che lo coltiva, non può che considerarsi tale rimando quale mera evenienza, in un rapporto di complementarietà ed eventualità rispetto alla coltivazione.

In altri termini, se, ai fini della prelazione agraria, la qualità di coltivatore diretto può riconoscersi in capo a un imprenditore che esercita congiuntamente la coltivazione del fondo e l’allevamento di animali, così non è per colui che si dedica esclusivamente a questa seconda attività (in senso conforme le sentenze n. 4501/2010, n. 28237/2005, n. 7635/2002 e n. 4577/1997).

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