16 Maggio 2015

Nuovi spunti di flessibilità: i rinnovi del Commercio e Studi Professionali

di Luca Vannoni
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Il percorso legislativo previsto per la modernizzazione e la semplificazione delle regole del lavoro, conosciuto con la denominazione giornalistica del Jobs Act, pur non essendo ancora giunto a compimento sta determinando effetti positivi e fermento anche per quanto riguarda la contrattazione collettiva. Particolarmente sintomatici sono due recenti accordi, del Terziario, accordo di rinnovo 30 marzo 2015, e degli Studi Professionali, accordo di rinnovo 17 aprile 2015: in essi sono state previste forme di flessibilità particolarmente interessanti, in grado di conformare l’organizzazione alle esigenze produttive e di ridurre il costo del lavoro.

Partiamo dal rinnovo del Terziario Confcommercio, il contratto probabilmente più applicato in Italia con circa 3 milioni di lavoratori. La prima osservazione è che il rinnovo 2015 è stato sottoscritto anche dalla Filcams Cgil, non firmataria del precedente del 2011: oltre alla valenza e rilevanza della firma nelle dinamiche sindacali, fa evaporare il rischio della richiesta di non applicazione del CCNL da parte dei lavoratori iscritti all’organizzazione dissenziente.

Passando al contenuto dell’accordo, il rinnovo del Terziario introduce una particolare tipologia di contratto a termine, definito “contratto a termine di sostegno all’occupazione”, finalizzato al reinserimento di lavoratori a rischio occupabilità, con una retribuzione di ingresso ridotta.

Possono essere destinatari del contratto esclusivamente i seguenti soggetti: lavoratori disoccupati da almeno sei mesi o che negli ultimi sei mesi abbiano svolto attività lavorativa autonoma/parasubordinata che abbia generato un reddito inferiore al reddito minimo annuale escluso da imposizione fiscale, i lavoratori che abbiano esaurito l’accesso a misure di sostegno al reddito e i lavoratori che presso altra azienda abbiano svolto un contratto di apprendistato non confermato.

La durata prevista è 12 mesi, nei primi sei mesi il trattamento economico è pari a due livelli inferiori rispetto a quello previsto per le mansioni svolte dal lavoratore, per i successivi sei mesi, a un livello inferiore.

Nel caso in cui il contratto venga trasformato a tempo indeterminato, si potrà applicare per i successivi ventiquattro mesi, un livello inferiore rispetto a quello previsto per la qualifica contrattuale di inquadramento del lavoratore.

A corollario, è prevista l’ulteriore agevolazione consistente nell’esclusione dal limite annuo del 20% dei contratti stipulabili a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. Inoltre, i lavoratori dovranno ricevere una formazione minima di sedici ore, comprensiva della formazione per la prevenzione e sicurezza sul lavoro, allo scopo di favorire l’inserimento nel contesto aziendale.

I giudizi e le valutazioni in dottrina su tale tipologia contrattuale

Il contratto per il sostegno dell’occupazione è sicuramente una forma innovativa, che richiede, almeno da un punto di vista ispettivo, una valutazione da parte del Ministero del Lavoro, in quanto, seppur in confini delimitati, scardina importanti e consolidati principi del diritto del lavoro, come quelli contenuti nell’art. 2103 del codice civile.

Per poter utilizzare tale tipologia contrattuale, si consiglia quindi in via precauzionale di attendere l’imminente riforma delle mansioni, contenuta sempre nel decreto del riordino delle tipologie contrattuali, all’art. 2103 del codice civile: il testo attualmente in vigore considera nulli gli accordi che prevedono sottoinquadramenti retributivi. Molto più semplice è l’introduzione della flessibilità, in quanto non vi è alcun dubbio che sia materia di legittima competenza della contrattazione collettiva.

Con il rinnovo, a decorrere dal 1 aprile 2015, i datori di lavoro possono introdurre regimi flessibili di orario di lavoro, dove, a fronte di un aumento massimo di 4 ore settimanali per 16 settimane, possono prevederne il recupero in un periodo diverso. La finalità della disposizione è rappresentato dalla facoltà di aumentare l’estensione della prestazione in un particolare periodo dell’anno dove l’attività è più intensa, senza dover erogare compensi per lavoro straordinario, in quanto le ore aggiuntive vengono recuperate in un momento dell’anno dove minore è l’intensità di lavoro. Rispetto alla disciplina previgente, non vi sono più particolari vincoli per le ore aggiuntive svolte, che potranno essere recuperate nel rispetto delle esigenze aziendali. Forme più spinte di flessibilità richiedono accordi aziendali di secondo livello.